Le foto della vera Grotta Panici sono gentilmente concesse da ragazzi di segni. Sulle pendici di Monte Lupone nel lato che degrada verso Montelanico Altitudine circa 1150 mt
Il brigante Panici
Ancor oggi sulle montagne aleggiano strani fantasmi di uomini con cappelli a larghe falde, alti e appuntiti, con fettucce colorate, rivestiti di giacca, gilet, calzoni color turchino, riccioli scendenti fin sugli occhi ed armati di fucile, pugnale e giberna in cui custodire cartucce: i pastori ed i contadini nei loro racconti ne fanno rivivere le gesta in modo che ha del miracoloso per l'esattezza della veridicità storica, anche a distanza di anni. |
“In questa montagne non c’è capanna senza una lugubre leggenda, non c’è macchia né roccia senza tracce di sangue, non c’è antro, un viottolo che non sia servito ad una imboscata; non un’eco che non abbia risuonato per i colpi della fucileria, per le grida di morte o di disperazione”.
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CURIOSANDO 27 Integrazione del Curiosando 9 Ci troviamo al confine tra lo stato Vaticano e quello di Napoli, in zone dove la gente viveva quasi abbandonata a sé stessa e dove i poteri forti, la Chiesa e i signorotti del tempo, contribuirono non poco ad imbarbarire la popolazione fino a causarne, da una parte una aperta contrapposizione di tipo politico e dall’altra la violenta reazione sfociata brigantaggio. Negli anni, tra il 1866 e 1868 la vita politica e civile dello Stato Pontificio è fortemente condizionata da tale fenomeno. Nacque inizialmente come brigantaggio politico antitaliano sostenuto da funzionari pontifici delusi dalla perdita di Marche e Umbria annesse all’Italia, e da fuoriusciti dell’ex Regno Borbonico che tentavano di riportare sul trono Francesco II di Borbone. L’arruolamento di volontari reazionari si trasformò in bande utilizzate per azioni di disturbo al confine, ma non ottenendo risultati sperati, queste si dispersero nel territorio agendo come delinquenza comune che si scontrava con truppe regolari nelle province pontificie del centro-sud. A ciò contribuì fortemente l’abitudine delle famiglie potenti ed egemoni del tempo che si servirono di persone indigenti le quali, non avendo nulla da perdere, accettarono i più disparati incarichi Non ne rimase indenne la famiglia Panici che si trovò ad avere da una parte un servitore dello Stato e dall’altra un brigante. Nelle cronache dei tempi è citata la banda Panici che agì in modo efferrato tra Velletri e Frosinone. Chi era Cesare Augusto Corsi Panici? Si sa che nel 1867 ha 25 anni e vive a San Lorenzo di Campagna, suo paese natale, oggi Amaseno. Uomo intelligente e militarmente preparato, riesce con fortuna a scampare agli agguati dei gendarmi pontifici, ma soprattutto sa che, senza la protezione di qualche potente, non riuscirà nelle sue imprese banditesche. Terrorizza viandanti e residenti nella zona che comprende Cori, Segni, Montelanico, Carpineto Romano e Norma, spingendosi a tratti fino a Terracina e i Castelli Romani. Più volte latitante, per leggi speciali sul brigantaggio promulgate nel 1865, fu arrestato e poi rilasciato. Nel 1868 ottenne protezione minacciando la famiglia Rossetti di Montelanico ma quando questi capirono che Panici era braccato dai gendarmi lo denunciarono. Le conseguenze del suo operato furono pagate da tutta la famiglia, secondo le leggi straordinarie del 1865. Furono arrestati tutti i parenti, compresi i bambini. Tra le varie azioni criminali perpetrate dal brigante ebbe risonanza il mancato sequestro a scopo estorsivo del Vescovo di Segni Luigi Ricci. Il prelato viaggiava su una diligenza preceduta da un altro convoglio, che fu attaccato a fucilate dai brigandi, ma resisi conto di aver sbagliato obiettivo si dispersero verso i Monti Lepini, sul confine di Roccamassima. Panici, rimasto ferito durante l’assalto ebbe assistenza a casa di un contadino e dal cognato Salvatore Flamini detto il “Roscio” già noto alle autorità. Dopo poco tempo le forze dell’ordine individuarono il nascondiglio e per ottenere la ricompensa fu denunciato da uno dei manutengoli, ma finirono quasi tutti in carcere per favoreggiamento e gli furono sequestrate le armi. Panici cerca rifugio sui monti tra Segni e Carpineto con circa undici seguaci. Il suo nascondiglio prediletto era una grotta poco al di sotto di Monte Lupone, rivolta a Colle Mezzo, ad una altitudine di circa 1150 m.s.l.m. Questo rifugio, situato in un ripido pendio di difficile percorrenza, non è facile da raggiungere specialmente in autunno ed inverno quando il terreno è reso viscido dalle piogge. La grotta situata a circa 1380 m.s.l.m., un poco al disotto di Monte Lupone permetteva ai briganti rapidi spostamenti sia verso Montelanico che Segni, e sia verso Cori nel versante che guarda il mare. Ancora oggi la grotta è indicata con il toponimo “La Rotta Panici”. Nella notte tra il 20 ed il 21 dicembre 1868 Cesare Augusto Panici fu ucciso forse dai gendarmi, forse dai pastori e contadini stanchi delle continue vessazioni a cui erano stati sottoposti. Chi diede un grande impulso alla lotta alla criminalità organizzata nello Stato Pontificio fu il Conte Lauri Leopoldo, che nominato coordinatore, restò in carica fino al 1870. Era uomo intelligente e determinato apprezzato da Francesco II re delle due Sicilie e da Pio IX che gli conferirono titoli e onorificenze. Il suo fiuto in materia trovò conferma nell’istituire il corpo degli ausiliari degli squadriglieri, affiancandoli alle truppe regolari dell’esercito. Questi erano volontari in servizio, regolarmente pagati, che avevano la stessa estrazione sociale dei malviventi, ma onesti e amanti della giustizia. In gergo popolare erano chiamati “Zampitti”. Essendo montanari, indossavano semplici abiti borghesi, armati come i gendarmi e riconoscibili per un berretto d’ordinanza e le ciocie ai piedi. Gli squadriglieri erano un corpo d’élite e furono per l’esercito pontificio quello che gli Ascari furono per l’esercito italiano durante la campagna d’Abissinia. Abituati com’erano alle privazioni e alle fatiche, divennero presto i nemici più temibili dei briganti. Ma non ebbero un facile compito. I briganti odiavano profondamente i “zampitti” tanto è che non appena ne catturavano uno difficilmente lo liberavano. I cronisti del tempo riportano un evento che da solo ci consegna un’immagine della bestialità e delle terribili scelleratezze dei briganti. Un giorno uno dei capi-brigante cadde sotto i colpi dei gendarmi e nelle sue tasche fu trovato una specie di vademecum nel quale aveva riassunto il regolamento di attacco e difesa, e della condotta da tenere con i prigionieri. Un vero e proprio manuale d’ordinanza. Tra i tanti “articoli” si legge: “Non accordare alcun quartiere ai feriti e ai prigionieri, ucciderli, strangolarli e mutilare i loro cadaveri, in moda da impressionare i soldati che li troveranno. Battendosi, il soldato penserà sempre alla fine che l’attenderebbe se fosse ferito o catturato, e cedendo la triste sorte che gli sarebbe riservata, prenderà la fuga…. Non si deve risparmiare la vita ai soldati e in tutti i casi mai, dico mai, quella degli squadriglieri; fare tutto il possibile per prenderli vivi e poi massacrarli senza misericordia”. In un’altra vicenda i manutengoli si sequestrarono un ricco proprietario e chiesero il riscatto promettendo di riconsegnarlo ai famigliari. Ma quando i parenti si recarono a consegnare la somma richiesta, racimolata con tanti sacrifici, trovarono il loro famigliare “spellato” e con lembi sanguinolenti appesi sui rami. Inveirono per il dolore contro quelle bestie, ma uno di loro rispose che aveva sì promesso di restituirlo vivo o morto; “Raccogliete quei resti e andate via se non volete fare la stessa fine”. Poiché il fenomeno del brigantaggio si espandeva sempre più nel resto d’Italia, il Lauri firmò con il generale italiano un trattato di collaborazione con il Regno d’Italia. A lui fu affidata la suddivisione di Velletri e Frascati. Il 20 dicembre 1868 per la cattura e la morte del Panici, insieme al brigante Pandolfi, vi furono contestazioni riguardanti la morte dei fratelli Rossetti, possidenti di Montelanico, ma confidenti della polizia e dei gendarmi, e nello stesso tempo protettori dei briganti. Nelle diverse versioni date sia i fratelli Flamini che gli squadriglieri con il vicebrigadiere Capogrossi rivendicavano l’uccisione del brigante per riscuotere il premio. Il Lauri mise fine alla querelle riconoscendo valida la testimonianza degli squadriglieri. Finiva così l’incubo durato anni di un malvivente arrogante e spregiudicato, tra i più ricercati dalla polizia Pontificia e tradito dai suoi stessi protettori. Comunque era un uomo intelligente, con capacità strategiche, militari e organizzative, sciogliendo e aggregando bande diverse. L’attività di Cesare Augusto Panici che si definiva “re dei boschi imperator della campagna” fu longeva rispetto ad altri gruppi che si disgregarono ben presto. Nel 1886 Cori era stato uno dei comuni più colpito dai briganti. Il rapimento più eclatante fu perpetrato ai danni di Ignazio Tommasi e Augusto Colacicchi. Per proseguire i suoi studi Ignazio appena undicenne si trova a Velletri presso lo zio. Alla metà di settembre parte da Velletri diretto a Cori per visitare la famiglia. Sulla diligenza salgono altri due passeggeri: Augusto Colacicchi, orafo nativo di Anagni e Alessandro Marziali, guardiano con la funzione di scorta ed entrambi armati di fucile. Giunti a Giulianello su una strada in salita, i briganti capeggiati dal Panici, assaltano la diligenza, disarmano Colacicchi e malmenano Marziali, poi si dirigono verso Roccamassima per raggiungere il Campo di Montelanico. Durante il tragitto il piccolo Tommasi fatica a inerpicarsi sui monti e i malviventi costringono alcuni contadini a portare sia i bagagli che il piccolo, caricandolo sulle spalle. Il giorno seguente i manutengoli inviano uno dei malcapitati paesani per la richiesta di riscatto alla famiglia. Oltra a richiedere armi, indumenti e derrate pretendono cinquemila scudi d’oro per Colacicchi e diecimila per Ignazio. Il luogo indicato per il rilascio degli ostaggi è il pozzo di Collemezzo, una radura di Montelanico raggiungibile anche passando per Segni. Il maggiore Lauri subito allerta zuavi e squadriglieri che si mettono sulle tracce dei briganti. Nello stesso tempo Camillo Tommasi pensa di inviare una lettera al Panici per descrivere il pessimo stato economico della famiglia, sperando di commuovere i rapitori e ottenere uno sconto sul riscatto, ma non ottiene risultati. Infine decide di consegnare una parte della somma richiesta: è il 19 settembre, poi invia un altro acconto, finché il 23 settembre la famiglia riceve un’altra richiesta tra cui il chinino per combattere la malaria, contratta dai banditi durante le frequenti incursioni nella pianura Pontina Anche la famiglia del Colacicchi si adopera per liberare il congiunto, ma fino ad allora senza risultati. Il quattro ottobre giunge alle famiglie dei rapiti il telegramma del governatore: Augusto Colacicchi è riuscito a liberarsi. Finalmente il 10 ottobre anche il piccolo Tommasi verrà liberato nella campagna intorno a Carpineto Romano e sarà soccorso dai coloni della famiglia Pecci che darà alla chiesa Papa Leone XIII. A conclusione della trista vicenda la famiglia Tommasi aveva versato solo un quinto di quanto richiesto. Tra le varie e capillari ricerche di documenti sul brigante vi è una supplica inviata dal Panici al Papa Pio IX, chiedendo perdono per i suoi misfatti a nome di tutta la banda e proponendo di liberare i malviventi, suoi accoliti, in cambio dell’abbandono dell’attività criminale. Così scrive Alberico Magni nel Libro “Brigantaggio e malvivenza nel territorio San Lorenzo in Campagna e nella Valle dell’Amaseno” “In questa montagne non c’è capanna senza una lugubre leggenda, non c’è macchia né roccia senza tracce di sangue, non c’è antro, un viottolo che non sia servito ad una imboscata; non un’eco che non abbia risuonato per i colpi della fucileria, per le grida di morte o di disperazione”. Le grotte tra Segni e Montelanico, le montagne dei monti Lepini e il loro degradare fino alla pianura pontina, dove in quei tempi non era difficile contrarre la malaria, erano e rappresentano uno dei momenti del cambiamento storico italiano: è il sinistro impero del brigantaggio che con il Panici, considerato l’ultimo capo brigante, si segna la fine del fenomeno nei territori dello Stato Vaticano. Bibliografia: Alberico Magni “Brigantaggio e malvivenza nel territorio San Lorenzo in Campagna e nella Valle dell’Amaseno”. Salemi Pro Edit.2002 Salvatore Scarpino “Il brigantaggio dopo l’unità d’Italia”, Fenice 2000 Don Bruno Navarra “Segni dal 1797 al 2006 pagg 56-58, “Vescovi di Segni” pagg.77-85 Roberti Luigi " Montelanico la sua storia e i suoi castelli pagg. 113-120 Sconocchia Adriano “ La banda Panici al tramonto dello stato Pontificio” 2011 Onorati Giancarlo/Rossi Giuseppina “Fanti, pastori e briganti. Sezze e il problema del brigantaggio preunitario (1861-1870). Il rapimento Sara. Con la collaborazione di: Alunni dell’I.S.I.S.S. “Pacifici e De Magistris” di Sezze che hanno partecipato ad alcune fasi della ricerca: Cristina Arduini, Chiara Castaldi, Magda Marconi, Giovanni Mattarelli, Elisa Onorati, Chiara Panico, Silvia Raponi, Marco Rosella, Sisto Andrea Perciballe, Riccardo Rieti, Marco Rosella, Amerigo Tornesi. Alunni della Scuola Media “Caio Titinio - Pacifici e De Magistris” di Sezze coinvolti in alcune fasi della ricerca: Giorgiana Covaci, Marco Damiani, Sara Marchetti, Simone Orelli, |