Figlio di Filippo Conti e nipote di Tristano Conti
Albero genealogico del De Magistris in Jonta C. "La Storia di Segni" pagg. 154,169
Enciclopedia dei Papi (2000)
Al secolo Rinaldo, figlio di Filippo, feudatario di Ienne (nel territorio di Subiaco, in diocesi di Anagni), nacque negli ultimi anni del sec. XII. Membro di una delle più ricche e potenti famiglie della regione, era imparentato (ma non risulta come e perché) con Ugolino, cardinale vescovo di Ostia e poi papa Gregorio IX. Per lunghi anni canonico del duomo d'Anagni, dovette anche compiere studi regolari, se si sottoscrive come "magister" in numerosi documenti. Solo nel 1221 appare, però, nella piena luce della storia, al seguito di Ugolino, allora legato del papa nell'Italia settentrionale: viene inviato, infatti, nella primavera di quell'anno, a Milano per appianare un grave conflitto sorto tra il podestà milanese Amizzone Sacco e l'arcivescovo Enrico. Fallito il suo tentativo di conciliazione, Rinaldo rimase con Ugolino sino alla conclusione della legazione. Divenuto papa Ugolino, col nome di Gregorio IX, il 19 marzo 1227, Rinaldo, che, come sembra, rivestiva già la carica di camerario della Chiesa, venne nominato il 18 settembre 1227 cardinale diacono di S. Eustachio, rimanendo, però, sempre accanto al papa, anche in conseguenza della sua attività di camerario. Eletto cardinale vescovo di Ostia verso il 1231-1232, entrò in possesso della diocesi solo quattro anni dopo, continuando a conservare la diaconia di S. Eustachio e la carica di camerario.
Nel luglio 1231 riuscì a riportare la pace tra nobili e popolo in Anagni; l'anno successivo intervenne, a nome del papa, a Perugia e poi a Viterbo per la soluzione di controversi problemi locali; a questi stessi anni sembra doversi riportare la conoscenza dell'imperatore Federico II, con il quale intrattenne a lungo rapporti amichevoli. Perciò nel 1237 Rinaldo fu inviato, insieme con Tommaso, cardinale prete del titolo di S. Sabina, come legato in Lombardia per tentare una pace tra la cosiddetta seconda Lega lombarda e l'imperatore. Giunto a Mantova il 19 giugno, Rinaldo non tardò a rendersi conto della difficoltà di mettere d'accordo i Comuni italiani tra loro e, insieme, di trovare il modo di rappacificarli con Federico II; ma ogni suo tentativo di mediazione fu troncato dalla battaglia di Cortenuova, vittoriosa per l'imperatore. Peggiorarono poi anche le relazioni con il pontefice in seguito alle operazioni militari, iniziate con l'autunno del 1239 da re Enzo e da altri capitani imperiali ai confini del Patrimonio e nel Ducato di Spoleto.
Morto nel 1241 Gregorio IX, Rinaldo non ebbe grande influenza in Curia sotto i suoi successori, Celestino IV (che ebbe un breve governo) e Innocenzo IV, come si ricava dagli incarichi poco importanti a lui affidati; inoltre, quando Innocenzo si recò in Francia per trovare consensi contro Federico, Rinaldo rimase a Roma, donde non si mosse neppure per recarsi al concilio di Lione del 1245, al quale era stato espressamente chiamato. Né aumentò la sua attività negli anni successivi: si preoccupò, piuttosto, dei problemi organizzativi ed interni dell'Ordine francescano, di cui era cardinale protettore. Il 7 dicembre 1254, quando Innocenzo IV morì a Napoli, Rinaldo era con lui e con tutti gli altri cardinali, che dalle circostanze (il podestà di Napoli, Bertolino Tavernari, aveva chiuso le porte della città) furono costretti a riunirsi in conclave e a procedere subito all'elezione del nuovo pontefice. L'eletto fu appunto Rinaldo (12 dicembre 1254), che assunse il nome di Alessandro IV, forse in ricordo di Alessandro III, a cui la sua famiglia doveva i feudi.
L'elezione fu dominata dal problema del Regno di Sicilia, ove le incertezze e le perplessità causate dalla politica di Corrado IV erano state ancor più aggravate dalla sua prematura morte a Lavello, il 21 maggio 1254, e dall'importanza che andava sempre più assumendo Manfredi, specialmente quando, dopo la designazione a re di Sicilia di Edmondo d'Inghilterra, aveva preso le armi contro l'esercito pontificio, entrato nel Regno, battendolo a Foggia il 2 dicembre. Il compromesso per cui i cardinali avevano eletto Rinaldo indicava la speranza in una politica, che, pur continuando con fermezza e chiarezza d'idee quella di Gregorio IX, non rendesse impossibile la riconciliazione con gli Svevi, come si poteva prevedere dalla favorevole disposizione che Rinaldo aveva mantenuto verso Federico e i suoi successori.
Appena dopo la sua elezione e la sua consacrazione, il 20 dicembre, ancora a Napoli, A. dové affrontare il problema siciliano, con cui era connesso quello, assai spinoso, della tutela di Corradino, che era stata affidata da Corrado alla Curia romana: di fronte alle difficoltà e alle esitazioni frapposte da parte di Manfredi al papa, questi non esitò a riprendere la sua libertà d'azione, rifiutando la tutela di Corradino, negando qualsiasi riconoscimento a Manfredi e confermando poi, il 9 aprile 1255, l'investitura di Edmondo d'Inghilterra a re di Sicilia.
Era la guerra aperta con Manfredi: A. fu, perciò, costretto a lasciare Napoli nel maggio, per trovare rifugio ad Anagni, mentre nel Regno restava a difendere i diritti della Chiesa l'energico cardinale Ottaviano degli Ubaldini. A Roma, intanto, la situazione si presentava difficile e tumultosa: dall'agosto del 1252, dopo un rivolgimento politico analogo a quello che in altre città aveva portato alla nomina di un podestà o di un capitano del popolo, vi era senatore il bolognese Brancaleone degli Andalò, conte di Casalecchio, che aveva imposto come sua condizione per la venuta a Roma una durata triennale della sua carica e la consegna di alcuni ostaggi nelle mani dei suoi familiari bolognesi, a salvaguardia della propria incolumità personale. Queste precauzioni, come la sua riconosciuta imparzialità di giudice, la sua abilità di politico e di organizzatore cittadino, non riuscirono a impedire la formazione d'un forte malcontento contro di lui, che esplose nel novembre del 1255 e avrebbe forse avuto una drammatica conclusione, se la presenza degli ostaggi a Bologna non avesse bloccato ogni tentativo di violenza contro l'Andalò.
A., rientrato in Roma almeno dal 21 novembre, cercò vanamente d'intervenire a Bologna, per la restituzione degli ostaggi; né riuscì a ottenere tranquillità in Roma, benché fosse stato chiamato come senatore il bresciano Emanuele de' Maggi. I tumulti continuarono e il papa, incapace di sedarli, fu costretto a fuggire a Viterbo quando i Romani, nel maggio del 1257, scacciarono il Maggi e richiamarono Brancaleone, eleggendolo senatore senza limiti di tempo. A. si trovava intanto ancora una volta di fronte a una situazione assai preoccupante nell'Italia meridionale, dove Ottaviano degli Ubaldini non era riuscito a contenere efficacemente l'azione di Manfredi, che, nominato baiulo del Regno per il nipote Corradino, era riuscito ad assumere il controllo del potere.
A. dovette, quindi, assistere, senza nessuna possibilità d'intervenire efficacemente, allo stabilirsi dell'alleanza di Manfredi con Genova e Venezia, e all'abile manovra con cui quest'ultimo, spargendo ad arte la notizia della morte del pupillo e nipote Corradino, riuscì a farsi incoronare re di Sicilia nel duomo di Palermo l'11 agosto 1258, senza preoccuparsi affatto di richiedere neppure il benestare del pontefice. Di fronte a questo gesto, che, trascurando l'alta sovranità del papato sul Mezzogiorno d'Italia, metteva in pericolo le basi della politica pontificia verso il Regno di Sicilia e l'Italia tutta, A., che fino a quel momento aveva esitato e mostrato perplessità nei riguardi di Manfredi, agì con ogni decisione, lanciando, il 10 aprile 1259, la scomunica contro di lui e tutti i suoi sostenitori. Dovette, però, ben presto accorgersi che la questione del Regno si allargava a questione italiana, perché intorno al re svevo s'adunavano tutti i ghibellini dell'Italia centrale, per attaccare Firenze, la roccaforte guelfa, che fu gravemente battuta a Montaperti il 4 settembre 1260. Il papa, che nulla aveva potuto fare per aiutare Firenze, dovette limitarsi a lanciare, il 18 novembre 1260, un'altra solenne scomunica, che includeva questa volta, oltre a Manfredi, anche i Senesi e tutti coloro che avevano militato fra i ghibellini.
Alla crescente fortuna di Manfredi aveva finito con l'aderire anche Brancaleone degli Andalò fino alla sua morte nel 1258; e nulla A. aveva potuto fare. Anzi, quando il papa, morto Brancaleone, cercò d'impedire l'elezione d'un altro senatore, ebbe l'affronto non solo di veder trascurata la sua ingiunzione, ma addirittura di saper rieletto lo zio stesso di Brancaleone, Castellano degli Andalò. Riuscì, tuttavia, a prendere il controllo della situazione pochi mesi dopo, quando, espulso Castellano, dopo molte e meschine vicende, il papa, con la nobiltà romana, riuscì a dare un nuovo indirizzo alla carica senatoriale, che fu affidata a due senatori, scelti fra i nobili. Contemporaneamente bloccava tre tentativi d'inserirsi nella situazione locale romana, per profittarne, compiuti da Alfonso di Castiglia, Riccardo di Cornovaglia e Manfredi, giudicati tutti, per motivi diversi, pericolosi per l'autonomia di Roma e per la sicurezza della Chiesa.
Ancor più grave si era andata facendo per A. la situazione dell'Italia settentrionale e dell'Impero. Nel Veneto, infatti, estendeva sempre più il suo potere Ezzelino da Romano, che, facendosi beffe delle scomuniche papali, andava organizzando il suo Stato da Trento al Po ed al mare, spezzando le resistenze delle città guelfe, come Padova e Vicenza, grazie all'appoggio del fratello e del marchese Oberto Pelavicino. Né molto A. contribuì al formarsi di quel fronte di città e di signori feudali, che, nel timore dell'eccessiva potenza d'Ezzelino, si collegarono per combatterlo e riuscirono infine a sconfiggerlo a Soncino nel 1259.
In realtà, di fronte a situazioni così complesse, A. non ebbe né l'energia coraggiosa dei suoi predecessori né l'accorta abilità politica del suo successore, facendosi trascinare dagli eventi, più che dominarli. È in questo senso caratteristico l'atteggiamento di A. di fronte al problema dell'Impero dopo la morte, nel 1256, di Guglielmo d'Olanda. Se riuscì a resistere, come s'è visto, ai tentativi dei tre pretendenti all'Impero Riccardo di Cornovaglia, Alfonso di Castiglia e Manfredi, quando questi avevano tentato d'inserirsi nella scottante situazione di Roma, A. non seppe decidersi, escluso subito e nettamente Manfredi, fra Alfonso e Riccardo; anzi, più propenso al primo, nulla seppe fare per appoggiarlo, sì che questi si rivolse, per aiuto in Italia settentrionale ed in Germania, a Ezzelino da Romano.
Mentre in questa attività politica, troppo spesso, non sapendosi decidere, si lasciò guidare dalle circostanze o dalle personalità più influenti della Curia, A. ha avuto, invece, notevole rilievo nella vita religiosa della cristianità. Si preoccupò di attirarsi l'attenzione e la benevolenza del clero orientale, regolando equamente i rapporti tra Latini e Greci a Cipro, conferendo il titolo di patriarca (maronita) d'Antiochia al capo dei maroniti, che aveva riconosciuto la supremazia del pontefice, e facendo ancora un tentativo, ma vano, presso Teodoro II Lascaris per l'unione tra la Chiesa latina e quella greca, cercando, infine, di organizzare intorno a Béla IV, re d'Ungheria, una resistenza di tutta la cristianità contro il pericolo tataro.
Ancora più importanti le decisioni riguardanti direttamente la vita della Chiesa, ove cercò di eliminare alcuni abusi introdottisi durante i pontificati precedenti, prescrivendo fra l'altro un termine preciso di sei mesi per il ricevimento della consacrazione da parte del vescovo eletto e ribadendo l'obbligo della "visitatio ad limina" da parte dei vescovi.
Quanto agli Ordini religiosi, va di lui ricordata specialmente la cosiddetta "grande unione" dei vari gruppi di eremiti retti dalla Regola di s. Agostino nell'unico Ordine degli Eremitani di S. Agostino (bolla Licet ecclesiae del 9 aprile 1256) e, ancor più, l'appoggio da lui dato, senza riserve, ai Frati Predicatori e ai Minori. Malgrado le lagnanze accompagnate spesso da tumulti, che da molte parti si levavano contro l'attività di cura d'anime dei due Ordini mendicanti, all'opera dei quali erano state poste delle limitazioni da Innocenzo IV (bolla Etsi animarum del 20 novembre 1254), A. annullò la bolla Etsi animarum con la sua Nec insolitum del 22 dicembre 1254. Si preoccupò poi anche di rassicurarli, in specie per quanto riguardava la spinosa questione delle due cattedre di teologia all'Università di Parigi.
Partendo da considerazioni di ordine escatologico Guglielmo di Saint-Amour nel suo De periculis novissimorum temporum aveva, nel 1255, rivolto gravi accuse a Francescani e Domenicani, contestando loro il diritto d'insegnare a Parigi e ribadendo le accuse di scarsa ortodossia, già messe in circolazione dopo la condanna dell'Introductorium in Evangelium aeternum di Gerardo di Borgo S. Donnino. Il papa, come aveva condannato l'Introductorium, così sottopose l'opera di Guglielmo ad un vero e proprio esame teologico, dopo il quale la condannò nella bolla Romanus pontifex del 5 ottobre 1256. A., troncando ogni contrasto tra maestri mendicanti e maestri secolari e prescindendo dagli esami teologici delle opere di Gerardo di Borgo S. Donnino e di Guglielmo di Saint-Amour, confermò ogni diritto dei Mendicanti nell'università con la bolla Quasi lignum vitae del 14 aprile 1255, che, di fatto, poneva termine per sempre alla questione, anche se si prolungarono le discussioni e le polemiche. Ebbe cari particolarmente i Frati Minori, sia per tradizione familiare (si ricordi l'amicizia di Ugolino di Ostia per s. Francesco), che per la carica rivestita di cardinale protettore: si preoccupò, quindi, di assicurare la pace interna dell'Ordine, scosso dai contrasti tra Spirituali e Comunità, e a tal fine consigliò le dimissioni di Giovanni da Parma e l'elezione di Bonaventura da Bagnoregio nel Capitolo di Roma del 2 febbraio 1257. Sotto di lui fu canonizzata Chiara d'Assisi. In tutta questa sua attività religiosa, fu guidato da una severa e netta coscienza del suo dovere di pontefice, come si ricava anche dalla sua attività in difesa dell'ortodossia e nei riguardi dei movimenti religiosi del suo tempo. Oltre alla condanna di Gerardo di Borgo S. Donnino e di Guglielmo di Saint-Amour, è da ricordare anche quella di molte tesi di Gioacchino da Fiore menzionate nel cosiddetto protocollo d'Anagni. Appoggiò e sostenne l'opera degli inquisitori; vide, ma senza reazioni a noi note, nel 1260, il sorgere e il diffondersi del moto dei flagellanti. Ancora nel pieno di questa sua attività politica e religiosa, morì a Viterbo il 25 maggio 1261.
Raoul Manselli
FONTI E BIBLIOGRAFIA
Les Registres d'Alexandre IV, a cura di C. Bourel de la Roncière-J. de Loye-P. de Cénival-A. Coulon, ser. II, I-III, Paris 1902-59; Acta Alexandri P.P. IV (1254-1261), a cura di T.T. Haluščynskyj-M.M. Wojnar, Romae 1966.
Degna di nota è sempre la monografia di F. Tenckhoff, Papst Alexander IV., Paderborn 1907, con ampia bibliografia, a cui vanno aggiunti E. Jordan, Les origines de la domination angevine en Italie, Paris 1909, ad indicem; R. Morghen, Il tramonto della potenza sveva in Italia, Roma 1942, ad indicem; J. Haller, Das Papsttum, IV, Basel 1953, pp. 272-91, 442-47; P. Toubert, Les déviations de la Croisade au milieu du XIIIe siècle: Alexandre IV contre Manfred, "Le Moyen Âge", 69, 1963, pp. 391-99; I. Rodríguez de Lama, La documentación pontificia de Alejandro IV (1254-1261), Roma 1976.
Per la famiglia e per i rapporti di parentela con Gregorio IX, valgono sempre le conclusioni di R. Morghen, Le relazioni del monastero sublacense col papato, la feudalità e il comune nell'alto medio evo, "Archivio della R.Società Romana di Storia Patria", 51, 1928, pp. 239-41, 258-62, e di G. Marchetti Longhi, Ricerche sulla famiglia di Papa Gregorio IX, ibid., 67, 1944, p. 282;S. Andreotta, La famiglia di Alessandro IV e l'abbazia di Subiaco, "Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia ed Arte", 35, 1962, pp. 63-126; 36, 1963, pp. 5-87; A. Paravicini Bagliani, Cardinali di Curia e 'familiae' cardinalizie dal 1227 al 1254, I-II, Padova 1972.
Per la sua attività al seguito di Ugolino di Ostia nell'Italia settentrionale v.: Registri dei cardinali Ugolino d'Ostia e Ottaviano degli Ubaldini, a cura di G. Levi, Roma 1890 (Fonti per la Storia d'Italia, 8), ad indicem, e Storia di Milano, IV, Milano 1954, pp. 202 s..
Per i rapporti tra A. e Roma v. in partic. E. Dupré Theseider, Roma dal comune di popolo alla signoria pontificia, Bologna 1952, pp. 34-86.
Per l'atteggiamento di A. nella controversia all'Università di Parigi uno sguardo complessivo inD.L. Douie, The Conflict Between the Seculars and the Mendicants at the University of Paris in the XIIIth Century, London 1954.
V. Ermoni, Alexandre IV, in D.H.G.E., II, coll. 214-16; G. Falco, Alessandro IV, in Enciclopedia Italiana, II, Roma 1929, pp. 341 s.; Lexikon für Theologie und Kirche, I, Freiburg 1993³, s.v., coll. 368-70; Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, I, Milano 1996, s.v., pp. 28-30.
Albero genealogico del De Magistris in Jonta C. "La Storia di Segni" pagg. 154,169
Enciclopedia dei Papi (2000)
Al secolo Rinaldo, figlio di Filippo, feudatario di Ienne (nel territorio di Subiaco, in diocesi di Anagni), nacque negli ultimi anni del sec. XII. Membro di una delle più ricche e potenti famiglie della regione, era imparentato (ma non risulta come e perché) con Ugolino, cardinale vescovo di Ostia e poi papa Gregorio IX. Per lunghi anni canonico del duomo d'Anagni, dovette anche compiere studi regolari, se si sottoscrive come "magister" in numerosi documenti. Solo nel 1221 appare, però, nella piena luce della storia, al seguito di Ugolino, allora legato del papa nell'Italia settentrionale: viene inviato, infatti, nella primavera di quell'anno, a Milano per appianare un grave conflitto sorto tra il podestà milanese Amizzone Sacco e l'arcivescovo Enrico. Fallito il suo tentativo di conciliazione, Rinaldo rimase con Ugolino sino alla conclusione della legazione. Divenuto papa Ugolino, col nome di Gregorio IX, il 19 marzo 1227, Rinaldo, che, come sembra, rivestiva già la carica di camerario della Chiesa, venne nominato il 18 settembre 1227 cardinale diacono di S. Eustachio, rimanendo, però, sempre accanto al papa, anche in conseguenza della sua attività di camerario. Eletto cardinale vescovo di Ostia verso il 1231-1232, entrò in possesso della diocesi solo quattro anni dopo, continuando a conservare la diaconia di S. Eustachio e la carica di camerario.
Nel luglio 1231 riuscì a riportare la pace tra nobili e popolo in Anagni; l'anno successivo intervenne, a nome del papa, a Perugia e poi a Viterbo per la soluzione di controversi problemi locali; a questi stessi anni sembra doversi riportare la conoscenza dell'imperatore Federico II, con il quale intrattenne a lungo rapporti amichevoli. Perciò nel 1237 Rinaldo fu inviato, insieme con Tommaso, cardinale prete del titolo di S. Sabina, come legato in Lombardia per tentare una pace tra la cosiddetta seconda Lega lombarda e l'imperatore. Giunto a Mantova il 19 giugno, Rinaldo non tardò a rendersi conto della difficoltà di mettere d'accordo i Comuni italiani tra loro e, insieme, di trovare il modo di rappacificarli con Federico II; ma ogni suo tentativo di mediazione fu troncato dalla battaglia di Cortenuova, vittoriosa per l'imperatore. Peggiorarono poi anche le relazioni con il pontefice in seguito alle operazioni militari, iniziate con l'autunno del 1239 da re Enzo e da altri capitani imperiali ai confini del Patrimonio e nel Ducato di Spoleto.
Morto nel 1241 Gregorio IX, Rinaldo non ebbe grande influenza in Curia sotto i suoi successori, Celestino IV (che ebbe un breve governo) e Innocenzo IV, come si ricava dagli incarichi poco importanti a lui affidati; inoltre, quando Innocenzo si recò in Francia per trovare consensi contro Federico, Rinaldo rimase a Roma, donde non si mosse neppure per recarsi al concilio di Lione del 1245, al quale era stato espressamente chiamato. Né aumentò la sua attività negli anni successivi: si preoccupò, piuttosto, dei problemi organizzativi ed interni dell'Ordine francescano, di cui era cardinale protettore. Il 7 dicembre 1254, quando Innocenzo IV morì a Napoli, Rinaldo era con lui e con tutti gli altri cardinali, che dalle circostanze (il podestà di Napoli, Bertolino Tavernari, aveva chiuso le porte della città) furono costretti a riunirsi in conclave e a procedere subito all'elezione del nuovo pontefice. L'eletto fu appunto Rinaldo (12 dicembre 1254), che assunse il nome di Alessandro IV, forse in ricordo di Alessandro III, a cui la sua famiglia doveva i feudi.
L'elezione fu dominata dal problema del Regno di Sicilia, ove le incertezze e le perplessità causate dalla politica di Corrado IV erano state ancor più aggravate dalla sua prematura morte a Lavello, il 21 maggio 1254, e dall'importanza che andava sempre più assumendo Manfredi, specialmente quando, dopo la designazione a re di Sicilia di Edmondo d'Inghilterra, aveva preso le armi contro l'esercito pontificio, entrato nel Regno, battendolo a Foggia il 2 dicembre. Il compromesso per cui i cardinali avevano eletto Rinaldo indicava la speranza in una politica, che, pur continuando con fermezza e chiarezza d'idee quella di Gregorio IX, non rendesse impossibile la riconciliazione con gli Svevi, come si poteva prevedere dalla favorevole disposizione che Rinaldo aveva mantenuto verso Federico e i suoi successori.
Appena dopo la sua elezione e la sua consacrazione, il 20 dicembre, ancora a Napoli, A. dové affrontare il problema siciliano, con cui era connesso quello, assai spinoso, della tutela di Corradino, che era stata affidata da Corrado alla Curia romana: di fronte alle difficoltà e alle esitazioni frapposte da parte di Manfredi al papa, questi non esitò a riprendere la sua libertà d'azione, rifiutando la tutela di Corradino, negando qualsiasi riconoscimento a Manfredi e confermando poi, il 9 aprile 1255, l'investitura di Edmondo d'Inghilterra a re di Sicilia.
Era la guerra aperta con Manfredi: A. fu, perciò, costretto a lasciare Napoli nel maggio, per trovare rifugio ad Anagni, mentre nel Regno restava a difendere i diritti della Chiesa l'energico cardinale Ottaviano degli Ubaldini. A Roma, intanto, la situazione si presentava difficile e tumultosa: dall'agosto del 1252, dopo un rivolgimento politico analogo a quello che in altre città aveva portato alla nomina di un podestà o di un capitano del popolo, vi era senatore il bolognese Brancaleone degli Andalò, conte di Casalecchio, che aveva imposto come sua condizione per la venuta a Roma una durata triennale della sua carica e la consegna di alcuni ostaggi nelle mani dei suoi familiari bolognesi, a salvaguardia della propria incolumità personale. Queste precauzioni, come la sua riconosciuta imparzialità di giudice, la sua abilità di politico e di organizzatore cittadino, non riuscirono a impedire la formazione d'un forte malcontento contro di lui, che esplose nel novembre del 1255 e avrebbe forse avuto una drammatica conclusione, se la presenza degli ostaggi a Bologna non avesse bloccato ogni tentativo di violenza contro l'Andalò.
A., rientrato in Roma almeno dal 21 novembre, cercò vanamente d'intervenire a Bologna, per la restituzione degli ostaggi; né riuscì a ottenere tranquillità in Roma, benché fosse stato chiamato come senatore il bresciano Emanuele de' Maggi. I tumulti continuarono e il papa, incapace di sedarli, fu costretto a fuggire a Viterbo quando i Romani, nel maggio del 1257, scacciarono il Maggi e richiamarono Brancaleone, eleggendolo senatore senza limiti di tempo. A. si trovava intanto ancora una volta di fronte a una situazione assai preoccupante nell'Italia meridionale, dove Ottaviano degli Ubaldini non era riuscito a contenere efficacemente l'azione di Manfredi, che, nominato baiulo del Regno per il nipote Corradino, era riuscito ad assumere il controllo del potere.
A. dovette, quindi, assistere, senza nessuna possibilità d'intervenire efficacemente, allo stabilirsi dell'alleanza di Manfredi con Genova e Venezia, e all'abile manovra con cui quest'ultimo, spargendo ad arte la notizia della morte del pupillo e nipote Corradino, riuscì a farsi incoronare re di Sicilia nel duomo di Palermo l'11 agosto 1258, senza preoccuparsi affatto di richiedere neppure il benestare del pontefice. Di fronte a questo gesto, che, trascurando l'alta sovranità del papato sul Mezzogiorno d'Italia, metteva in pericolo le basi della politica pontificia verso il Regno di Sicilia e l'Italia tutta, A., che fino a quel momento aveva esitato e mostrato perplessità nei riguardi di Manfredi, agì con ogni decisione, lanciando, il 10 aprile 1259, la scomunica contro di lui e tutti i suoi sostenitori. Dovette, però, ben presto accorgersi che la questione del Regno si allargava a questione italiana, perché intorno al re svevo s'adunavano tutti i ghibellini dell'Italia centrale, per attaccare Firenze, la roccaforte guelfa, che fu gravemente battuta a Montaperti il 4 settembre 1260. Il papa, che nulla aveva potuto fare per aiutare Firenze, dovette limitarsi a lanciare, il 18 novembre 1260, un'altra solenne scomunica, che includeva questa volta, oltre a Manfredi, anche i Senesi e tutti coloro che avevano militato fra i ghibellini.
Alla crescente fortuna di Manfredi aveva finito con l'aderire anche Brancaleone degli Andalò fino alla sua morte nel 1258; e nulla A. aveva potuto fare. Anzi, quando il papa, morto Brancaleone, cercò d'impedire l'elezione d'un altro senatore, ebbe l'affronto non solo di veder trascurata la sua ingiunzione, ma addirittura di saper rieletto lo zio stesso di Brancaleone, Castellano degli Andalò. Riuscì, tuttavia, a prendere il controllo della situazione pochi mesi dopo, quando, espulso Castellano, dopo molte e meschine vicende, il papa, con la nobiltà romana, riuscì a dare un nuovo indirizzo alla carica senatoriale, che fu affidata a due senatori, scelti fra i nobili. Contemporaneamente bloccava tre tentativi d'inserirsi nella situazione locale romana, per profittarne, compiuti da Alfonso di Castiglia, Riccardo di Cornovaglia e Manfredi, giudicati tutti, per motivi diversi, pericolosi per l'autonomia di Roma e per la sicurezza della Chiesa.
Ancor più grave si era andata facendo per A. la situazione dell'Italia settentrionale e dell'Impero. Nel Veneto, infatti, estendeva sempre più il suo potere Ezzelino da Romano, che, facendosi beffe delle scomuniche papali, andava organizzando il suo Stato da Trento al Po ed al mare, spezzando le resistenze delle città guelfe, come Padova e Vicenza, grazie all'appoggio del fratello e del marchese Oberto Pelavicino. Né molto A. contribuì al formarsi di quel fronte di città e di signori feudali, che, nel timore dell'eccessiva potenza d'Ezzelino, si collegarono per combatterlo e riuscirono infine a sconfiggerlo a Soncino nel 1259.
In realtà, di fronte a situazioni così complesse, A. non ebbe né l'energia coraggiosa dei suoi predecessori né l'accorta abilità politica del suo successore, facendosi trascinare dagli eventi, più che dominarli. È in questo senso caratteristico l'atteggiamento di A. di fronte al problema dell'Impero dopo la morte, nel 1256, di Guglielmo d'Olanda. Se riuscì a resistere, come s'è visto, ai tentativi dei tre pretendenti all'Impero Riccardo di Cornovaglia, Alfonso di Castiglia e Manfredi, quando questi avevano tentato d'inserirsi nella scottante situazione di Roma, A. non seppe decidersi, escluso subito e nettamente Manfredi, fra Alfonso e Riccardo; anzi, più propenso al primo, nulla seppe fare per appoggiarlo, sì che questi si rivolse, per aiuto in Italia settentrionale ed in Germania, a Ezzelino da Romano.
Mentre in questa attività politica, troppo spesso, non sapendosi decidere, si lasciò guidare dalle circostanze o dalle personalità più influenti della Curia, A. ha avuto, invece, notevole rilievo nella vita religiosa della cristianità. Si preoccupò di attirarsi l'attenzione e la benevolenza del clero orientale, regolando equamente i rapporti tra Latini e Greci a Cipro, conferendo il titolo di patriarca (maronita) d'Antiochia al capo dei maroniti, che aveva riconosciuto la supremazia del pontefice, e facendo ancora un tentativo, ma vano, presso Teodoro II Lascaris per l'unione tra la Chiesa latina e quella greca, cercando, infine, di organizzare intorno a Béla IV, re d'Ungheria, una resistenza di tutta la cristianità contro il pericolo tataro.
Ancora più importanti le decisioni riguardanti direttamente la vita della Chiesa, ove cercò di eliminare alcuni abusi introdottisi durante i pontificati precedenti, prescrivendo fra l'altro un termine preciso di sei mesi per il ricevimento della consacrazione da parte del vescovo eletto e ribadendo l'obbligo della "visitatio ad limina" da parte dei vescovi.
Quanto agli Ordini religiosi, va di lui ricordata specialmente la cosiddetta "grande unione" dei vari gruppi di eremiti retti dalla Regola di s. Agostino nell'unico Ordine degli Eremitani di S. Agostino (bolla Licet ecclesiae del 9 aprile 1256) e, ancor più, l'appoggio da lui dato, senza riserve, ai Frati Predicatori e ai Minori. Malgrado le lagnanze accompagnate spesso da tumulti, che da molte parti si levavano contro l'attività di cura d'anime dei due Ordini mendicanti, all'opera dei quali erano state poste delle limitazioni da Innocenzo IV (bolla Etsi animarum del 20 novembre 1254), A. annullò la bolla Etsi animarum con la sua Nec insolitum del 22 dicembre 1254. Si preoccupò poi anche di rassicurarli, in specie per quanto riguardava la spinosa questione delle due cattedre di teologia all'Università di Parigi.
Partendo da considerazioni di ordine escatologico Guglielmo di Saint-Amour nel suo De periculis novissimorum temporum aveva, nel 1255, rivolto gravi accuse a Francescani e Domenicani, contestando loro il diritto d'insegnare a Parigi e ribadendo le accuse di scarsa ortodossia, già messe in circolazione dopo la condanna dell'Introductorium in Evangelium aeternum di Gerardo di Borgo S. Donnino. Il papa, come aveva condannato l'Introductorium, così sottopose l'opera di Guglielmo ad un vero e proprio esame teologico, dopo il quale la condannò nella bolla Romanus pontifex del 5 ottobre 1256. A., troncando ogni contrasto tra maestri mendicanti e maestri secolari e prescindendo dagli esami teologici delle opere di Gerardo di Borgo S. Donnino e di Guglielmo di Saint-Amour, confermò ogni diritto dei Mendicanti nell'università con la bolla Quasi lignum vitae del 14 aprile 1255, che, di fatto, poneva termine per sempre alla questione, anche se si prolungarono le discussioni e le polemiche. Ebbe cari particolarmente i Frati Minori, sia per tradizione familiare (si ricordi l'amicizia di Ugolino di Ostia per s. Francesco), che per la carica rivestita di cardinale protettore: si preoccupò, quindi, di assicurare la pace interna dell'Ordine, scosso dai contrasti tra Spirituali e Comunità, e a tal fine consigliò le dimissioni di Giovanni da Parma e l'elezione di Bonaventura da Bagnoregio nel Capitolo di Roma del 2 febbraio 1257. Sotto di lui fu canonizzata Chiara d'Assisi. In tutta questa sua attività religiosa, fu guidato da una severa e netta coscienza del suo dovere di pontefice, come si ricava anche dalla sua attività in difesa dell'ortodossia e nei riguardi dei movimenti religiosi del suo tempo. Oltre alla condanna di Gerardo di Borgo S. Donnino e di Guglielmo di Saint-Amour, è da ricordare anche quella di molte tesi di Gioacchino da Fiore menzionate nel cosiddetto protocollo d'Anagni. Appoggiò e sostenne l'opera degli inquisitori; vide, ma senza reazioni a noi note, nel 1260, il sorgere e il diffondersi del moto dei flagellanti. Ancora nel pieno di questa sua attività politica e religiosa, morì a Viterbo il 25 maggio 1261.
Raoul Manselli
FONTI E BIBLIOGRAFIA
Les Registres d'Alexandre IV, a cura di C. Bourel de la Roncière-J. de Loye-P. de Cénival-A. Coulon, ser. II, I-III, Paris 1902-59; Acta Alexandri P.P. IV (1254-1261), a cura di T.T. Haluščynskyj-M.M. Wojnar, Romae 1966.
Degna di nota è sempre la monografia di F. Tenckhoff, Papst Alexander IV., Paderborn 1907, con ampia bibliografia, a cui vanno aggiunti E. Jordan, Les origines de la domination angevine en Italie, Paris 1909, ad indicem; R. Morghen, Il tramonto della potenza sveva in Italia, Roma 1942, ad indicem; J. Haller, Das Papsttum, IV, Basel 1953, pp. 272-91, 442-47; P. Toubert, Les déviations de la Croisade au milieu du XIIIe siècle: Alexandre IV contre Manfred, "Le Moyen Âge", 69, 1963, pp. 391-99; I. Rodríguez de Lama, La documentación pontificia de Alejandro IV (1254-1261), Roma 1976.
Per la famiglia e per i rapporti di parentela con Gregorio IX, valgono sempre le conclusioni di R. Morghen, Le relazioni del monastero sublacense col papato, la feudalità e il comune nell'alto medio evo, "Archivio della R.Società Romana di Storia Patria", 51, 1928, pp. 239-41, 258-62, e di G. Marchetti Longhi, Ricerche sulla famiglia di Papa Gregorio IX, ibid., 67, 1944, p. 282;S. Andreotta, La famiglia di Alessandro IV e l'abbazia di Subiaco, "Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia ed Arte", 35, 1962, pp. 63-126; 36, 1963, pp. 5-87; A. Paravicini Bagliani, Cardinali di Curia e 'familiae' cardinalizie dal 1227 al 1254, I-II, Padova 1972.
Per la sua attività al seguito di Ugolino di Ostia nell'Italia settentrionale v.: Registri dei cardinali Ugolino d'Ostia e Ottaviano degli Ubaldini, a cura di G. Levi, Roma 1890 (Fonti per la Storia d'Italia, 8), ad indicem, e Storia di Milano, IV, Milano 1954, pp. 202 s..
Per i rapporti tra A. e Roma v. in partic. E. Dupré Theseider, Roma dal comune di popolo alla signoria pontificia, Bologna 1952, pp. 34-86.
Per l'atteggiamento di A. nella controversia all'Università di Parigi uno sguardo complessivo inD.L. Douie, The Conflict Between the Seculars and the Mendicants at the University of Paris in the XIIIth Century, London 1954.
V. Ermoni, Alexandre IV, in D.H.G.E., II, coll. 214-16; G. Falco, Alessandro IV, in Enciclopedia Italiana, II, Roma 1929, pp. 341 s.; Lexikon für Theologie und Kirche, I, Freiburg 1993³, s.v., coll. 368-70; Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, I, Milano 1996, s.v., pp. 28-30.