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Puzzo San Bruno. Con questo toponimo, Pippo Fagiolo, indica – come vuole la tradizione- i sotterranei di Vìcoli o Vìcoi, sul monte Lepino che si innalza a occidente di Segni, sui cui fianchi si snoda tortuosa l’antica via Traiana, fatta costruire dall’Imperatore Traiano verso il 130. In quei sotterranei fu tenuto prigioniero San Bruno dal Conte Ainulfo, signore del castello. L’Anonimo Segnino, lo storico di San Bruno, così ricorda l’episodio. “ Un giorno mentre San Bruno tornava da Roma, ove era solito intervenire alle riunioni apostoliche e trattare per ordine del papa, gli affari ecclesiastici, il Conte Ainulfo gli si fece incontro………il Conte malvagio invitò al castello il vescovo, che non sospettando alcun male, lo ringraziò, aggiungendo però che desiderava tornare alla sua chiesa….. Con violenza lo rinchiuse in un carcere della torre del castello, dove si dice che Bruno abbia dato una tenda militare di cento soldi per avere uno sgabello su cui sedere. Se ne stava il Santo chiuso in carcere, quando il Signore, per manifestare la fortezza della sua fede, si degnò di operare un grande miracolo. Un giorno mentre soffriva una gran sete, prego una donna, addetta alla casa, perché gli portasse un po’ d’acqua della fonte. Avuta l’acqua l’uomo di Dio vi traccia sopra il segno della croce, la gusta e la trova ottimo vino. Allora riprendendo la donna disse:-Ti ho chiesto acqua, perché mi hai portato vino?- Ma quella donna cominciò ad affermare di aver attinto l’acqua alla fonte. Di nuovo Bruno chiede acqua, che alla benedizione di nuovo si cambia in vino. E ciò avvenne ancora per la terza volta.” Il Poeta, di questo evento prodigioso tanto caro ai segnini, ne ha fatto una fantastica riproduzione, colorandola della sua verve e vivacizzandola con la sua inconfondibile ironia. PUZZO SAN BRUNO Perché difese sempre Gesocristo I glio papato co lla chiesa santa, jò condannèro comme jo più ttristo capoccia degli capo capobbanda. Tra accuse i prove farze, ‘st ‘infamanti, ‘n sotto còssa alliato i ppe lle spalle, acchiappéro le funi tutti quanti, i tte jò spenechèro fin ‘abballe. No vòzzero nnè scuse nnè raggiuni; chiutèro jo cupèrchio i scotèro san Bruno che diceva l’orazziuni. I remmommèva comme ‘n monastero. Se racanì co llo precà la voci. Petì da bbève d’acqua ‘no quartino. Comme che ll’abbe ‘j ficì la croci, i ll’acqua se cagnà de bbòtto vino. Allora rechiamà la sentinella I ggi disse:- Francì’ , te si sbagliato! Chèsta ‘nn è l’acqua tèlla pantanella. Chist’è vino! I cche vino prelibbato! No gni cretì! Ma l’assaggià Francisco. La òcca se leccà, i cco ddu’ bbrumbi, dicènno <comm’è bbònno, comm’è ferisco>, scappà a cchiamà chigli-atri co ddu’ zzumpi. Pe ttre vòte se repetì la prova I ppe ttre vòte l’acqua ressì vino. Ma scortà chèsta i ‘na fossetta nòva Mo gni stèva pe dèllocia vicino. E’ de Solèro-feci Lecramante De chèlle parti a ddò co ‘na ricetta Se fa senz’uva lo vino, lo schiumante, mmischiènno all’acqua certa polveretta Penzèro allora chigli farabutti: -Jò rezzecchìmo, jò portìmo via, empìmo d’acqua cento i ppassa utti, le benedici….E’ mmessa l’ostaria! Fagiolo Pippo detto Peperone " 'J So Revenuto" 1988 pag.137-139 L’ Anonimo segnino racconta nelle Lez.16-17-18 e 19 come San Bruno, dopo essere stato prigioniero del conte Ainulfo ed aver sopportato soprusi ed angherie di ogni genere, ripieno dello Spirito Santo e della perfetta carità, con tutto il cuore perdonò questa ingiuria al Conte. Anzi pregò tutti gli amici e tutti i suoi diocesani perché non rendessero a quel conte male per male. Nessun danno , nessuna igiuria, gli arrecassero per l’affronto ricevuto.
Infine il Conte perse il Castello e la torre dove aveva rinchiuso il santo e, si ridusse in così tanta povertà che ha stento poteva ottenere il necessario per vivere.. A lui e ai suoi figli, nel bisogno S. Bruno, come aveva promesso, cercò di dare aiuto. |
“Avevo sempre desiderato di fare una visita di ricognizione al Castello di Vicoli, cioè alla località che i Segnini chiamano Pozzo di San Bruno in ricordo del nostro protettore, il quale vi fu tenuto prigioniero per tre mesi nella primavera del 1082 dal conte Adolfo di Vicoli, partigiano contro il papa Gregorio VII, di Enrico IV (1056-1106) Imperatore di Germania”.
Il castello era stato distrutto nel 1125 da Onorio II, e proprio per questa ragione l’autore Alessandro Colaiacomo, ardeva dal desiderio di constatare , dopo tanta vicenda di secoli, le testimonianza di quel che avrebbe potuto essere il suo antico splendore. Continua il Colaiacomo “E ciò tanto più perché, tra le località del territorio segnino aventi avanzi di mura ciclopiche, è citato dal Marocco anche Monte Vicoli e poi la –Contrada Coste Vicoli-, dove esiste un sotterraneo a volte che sembra una conserva antica d’acqua”. “Ce n’era abbastanza per stimolare la mia curiosità e pertanto <pedidem incendes>, (a piedi) mi sono deciso alla lunga e disagevole passeggiata che per l’andata, la visita e il ritorno sono occorse 5 ore” L’autore dopo aver dato una bella descrizione dei luoghi, stimolato dalla posizione dominante la sottostante valle in cui la vista, aprendosi da oriente a occidente, si perde alla ricerca dei molti paesi vicini e lontani, descrive e misura le misere e fatiscenti rovine. A memoria dei vecchi contadini e pastori, risulta che fino a circa una quarantina di anni fa (dal 1974) erano ancora visibili scalini, adducenti a locali sotterranei parzialmente interrati, di cui ora è scomparsa ogni traccia. Poco più in là, verso la valle, a circa 15 mt.dal lato posteriore, esiste un pozzo di circa 4x3,50 mt e ora è profondo mt 3. Oltre le rovine del Castello, sulla sommità del cocuzzolo abbondano tracce di mura ciclopiche, con relativi massi sparsi in molti punti. Oltre a ciò , a 10 mt dopo la parete posteriore, si rileva una fossa avente la precisa dimensione d’una cassa mortuaria Nella breve e sommaria visita ai ruderi del Castello non sono riuscito a rintracciare il sotterraneo a volta citato dal Marocco, anche per la probabile ostruzione del suo ingresso, come dagli sparsi e rovinati avanzi del Castello è praticamente impossibile ubicare il famoso Pozzo di San Bruno e dove ed in che condizioni era la tetra ed angusta cella in cui patì la trimestrale detenzione. L’antico maniero era sorto in un luogo dove già esistevano considerevoli avanzi di mura ciclopiche, e, a distanza di secoli nulla sappiamo circa l’opera di cui fanno parte. Era un tempio, un mausoleo, un ipogeo, un villaggio poi sparito. E nel caso a chi era dedicato, in nome di chi era stato costruito? Molti e tutti possibili sono gli interrogativi, ma abbiamo di sicuro una certezza: quei grandiosi massi poligonali esistono e resistono validamente alle incurie del tempo e degli uomini. Posso però concludere che sì non è possibile ricostruire un perimetro, ma di sicuro posso attestare la vitalità e la potenza che nel tempo ha sempre espresso la nostra Segni. Colaiacomo Alessandro “Signis Memoranda Fastis” 1974/1989 pag.413-420 Don Bruno Navarra ci racconta il viaggio del vescovo Bruno da Roma a Segni
“Sarà stato quell’ideale di eroismo, o la scarsa conoscenza della situazione politica di Segni e delle altre città della Campagna, il fatto è che Bruno, verso la fine di aprile del 1082, <credendosi sicuro di poter fare ritorno al suo vescovato> uscì da Roma dalla porta Sessoriana,che, proprio in quel torno di tempo, cominciò ad essere chiamata Porta Maggiore…… ..Con passo spedito percorreva la via Labicana. Non sostò alla stazione ad Quintanas (Marmorelle presso Colonna) e sorpassò la località ad Statuas. …..Gli premeva giungere presto. Era da poco passato mezzogiorno quando si fermò alla stazione ad Pictas, presso l’odierno fontanile delle Macere, per abbeverare i cavalli. Strani pensieri intanto si addensavano nella sua mente. Il viaggio da Roma a Segni e viceversa, nei tre anni di episcopato segnino gli era diventato abituale. Mai però lo avevano assalito quei tristi presentimenti. S’era lasciato sulla sinistra il castello di Valmontone senza ricevere un segno di amicizia ne di rispetto. Eppure ne era proprietario il Capitolo di San Giovanni in Laterano. Transitò a lato delle catacombe di S. Ilario, ma il monaco romito non si fece vedere. Il castello di Piombinara gli parve deserto e le campane della chiesa castellana, dedicata a S.Maria, non suonarono al suo passaggio. Attraversando il territorio di Colleferro- il castello non era ancora costruito- notò i contadini intenti ai lavori dei campi, indifferenti o quasi timorosi della sua presenza. Anche il cielo carico di nuvolosi neri, a tratti si apriva in un azzurro chiaro e d’improvviso lasciava brillare un sole cocente già piegato sulle cime di Montefortino, oggi Artena. I chierici del seguito osservarono Bruno assorto nei suoi pensieri e lo credettero immerso nella preghiera, quando in lontananza notarono un drappello di soldati…… ….Prima ancora di capire videro il Conte Ainulfo, che ostentato un inchino saluto <Ben tornato, signor vescovo> Intanto il Conte proseguì insieme a Bruno come se volesse scortarlo. Giunti, così, la dove la strada offre una duplice deviazione: la prima è la via Traiana, costruita dall’imperatore Traiano verso il 130, sale sul Monte Lepino, l’altra pianeggiante è ricalcata dall’odierna via Carpinetana e costeggia le pendici di quel monte in direzione dei castelli di Gavignano, Prunio e Collemezzo, tutti arroccati sulla cima dei colli. Poco più su, seguendo via Traiana inizia la contrada Coste Vicoli. Qui il drappello di fermò e il Conte ancora effettuando un inchino a destra verso Bruno, gli disse: Signor vescovo favorisci nel mio castello! Mi dispiace, signor Conte, -ribattè subito Bruno-, ho premura di salire a Segni. -Sei stanco, insisteva il Conte, il sole tramonta, non ti aspettano a Segni; per questa notte gradiscu la mia ospitalità. - Ti ringrazio, ma non posso- implorava Bruno- Il Conte con tono deciso e tracotante, rivolto al vescovo, gli gridò minaccioso: -Vuoi o non vuoi, verrai con me, né sfuggirai alle mie mani, prima che mi avrai fatto restituire la città di Segni, che per giustizia, come è noto, appartiene alla mia contea. Bruno rimase per tre mesi nelle prigioni del castello di Vicoli. E’ probabile che liberato, sia stato costretto dal conte a rientrare a Roma senza poter mettere piede a Segni. Ciò si può dedurre dalla narrazione del primo biografo di Bruno. Don Bruno dopo aver citato fonti storiche che attestano l’interesse che il castello suscitava ci racconta che i segnino più volte provarono a innalzare su Vicoli una chiesa intitolata a San Bruno, ma sempre sarebbe stata abbattuta dai fulmini. I ruderi infatti affioranti dal suolo fino all’altezza di qualche metro sono databili per la tecnica costruttiva al XVII-XVIII secolo. Oggi la cava di pietra ha raggiunto i quei resti, pronta a divorarli. A valle però, nei pressi di Fontana Bracchi da cui, secondo il racconto dell’Anonimo segnino, attingeva la fantesca del Castello, è stata costruita la chiesa intitolata a San Bruno – unica nella diocesi- che agli abitanti della zona ricorderà il maniero longobardo e la prigionia del santo vescovo segnino.”. Peccato, forse una campagna di scavi avrebbe potuto dipanare tutti gli interrogativi su le mura ciclopiche e sul vecchio castello di Vicoli. Navarra Bruno “Storia di Segni II” 1998 |