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La Leggenda del Piave: le truppe austriache respinte nella Battaglia del Solstizio
Un secolo fa iniziò sulle sponde del Piave la Battaglia del Solstizio che si concluse con la ritirata austriaca segnando profondamente l'esito del primo conflitto mondiale Alessandro Maiocchi - Gio, 14/06/2018 - 10:44 “No!” disse il Piave, / “No!” dissero i fanti, / “Mai più il nemico faccia un passo avanti” / Si vide il Piave rigonfiar le sponde / e come i fanti combattevan l’onde… Nelle prime ore del 15 giugno del 1918 cominciò la massiccia offensiva austrica, nonché l’ultima, mirata a risolvere definitivamente il conflitto con l’Italia, ma le truppe italiane non si fecero trovare impreparate come successo alla fine di ottobre a Caporetto e diedero vita alla “Battaglia del Solstizio”, così rinominata da Gabriele D’Annunzio, che si concluse con la ritirata oltre il Piave degli austriaci. Da questa battaglia nacque la “Leggenda del Piave”. … E ritornò il nemico / per l’orgoglio e per la fame, / voleva sfogare tutte le sue brame… / Vedeva il piano aprico, di lassù, / voleva ancora sfamarsi e tripudiare come allora. Il protrarsi del conflitto, la crisi interna e la difficoltà di approvv-igionamento spinsero l’impero asburgico a dirottare tutte le risorse per sfondare il fronte italiano e affrontare in seguito il fronte franco-tedesco. Gli austro-ungarici pianificarono l’offensiva nei minimi dettagli, prevedendo innanzitutto la distruzione del blocco navale del canale di Otranto e, contemporaneamente, un attacco diretto come accaduto nella Valle dell’Isonzo. Ma l’Impresa di Premuda rallentò gli austriaci che cominciarono l’avanzata con quattro giorni di ritardo. Come a Caporetto un grande bombardamento riecheggiò nella notte permettendo alle truppe nemiche di attraversare il Piave ed arrivare fino alla collina del Montello, occupando Nervesa, e solo sull’altopiano di Asiago i fanti italiani mantennero le posizioni. “No!” disse il Piave, / “No!” dissero i fanti, / “Mai più il nemico faccia un passo avanti” / Si vide il Piave rigonfiar le sponde / e come i fanti combattevan l’onde… Nel pomeriggio, però, ci si rese conto che le truppe italiane non erano impreparate; anzi, non solo erano a conoscenza dei piani nemici ma il Regio Esercito disponeva di armi e mezzi superiori. Nel frattempo, a causa delle abbondanti piogge, il Piave esondò facendo crollare più volte le passerelle costruite dagli austriaci per far giungere i rifornimenti e complicandone le operazioni, tanto che molti reparti risultarono isolati. La controffensiva italiana fu veemente. La notte gli Alpini scalarono il Monte Grappa illuminato a giorno dal fuoco incessante dei cannoni, con la Regia Aeronautica che attaccò imperterrita le linee nemiche per tutta la durata della battaglia, nonostante la perdita del più grande asso tricolore, Francesco Baracca. Rosso del sangue del nemico altero, / il Piave comandò: “Indietro, va’, straniero!” Le truppe austriache, impossibilitate ad essere rifornite, sia di viveri che di armi, e provate da una estenuante battaglia che le ha viste negli ultimi giorni impegnate in una tattica difensiva, ben diversa da quella vittoriosa che avevano preparato meticolosamente, furono costrette ad abbandonare le postazioni conquistate. Molti fanti ripiegando in ritirata, nel tentativo di ritornare a Pieve di Soligo-Falzè di Piave, perirono annegati nelle tempestose acque del Piave. Il bilancio fu drammatico, in una settimana di aspri combattimenti persero la vita centocinquantamila soldati austriaci e novantamila italiani. La Battaglia del Solstizio fu l’ultima grande offensiva dell’impero asburgico e il suo esito spalancò le porte al vittorioso epilogo. Indietreggiò il nemico / Fino a Trieste, fino a Trento, / e la Vittoria sciolse le ali del vento!. |
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ASSOCIAZIONE CULTURALE ITINESEGNI
Curiosando 23
Tra i libri di storia troviamo struggenti passaggi e notazioni giunte fino a noi, per ricordarci il significato della guerra e le conseguenze delle reciproche incomprensioni. Ma L’Edelweiss, naturale testimone di quegli orrori, è ancora lì. A memoria perenne
Negli ospedali, gli avanzi gloriosi di cento battaglie, di lunghe e gloriose resistenze, dovevano ora invece, consunti dalle malattie, gustare goccia a goccia l’agonia e piegare la povera vita, recisi dalla morte……..Chiamavano il babbo, la mamma, la sposa, i figlioletti lontani….Li cercavano con gli occhi languidi e moribondi: se l’immaginavano presenti e con il loro nome sulle labbra esalavano l’ultimo respiro
Oggi li chiamiamo “corrispondenti di guerra” i giornalisti che raccontano i conflitti, che rischiano la vita per riferire gli accadimenti nei fronti di combattimento.
Noi segnini abbiamo avuto un corrispondente che, oltre a vivere e riportare le atrocità della guerra, ha assistito spiritualmente i soldati nella 1^ Guerra Mondiale.
E’ don Cesare Ionta, tenente cappellano militare, inviato al fronte del Carso nel 1916.
In un suo libro “Gli eroi segnini caduti nella grande guerra” descrive minuziosamente gli orrori della prima linea, i soldati immersi nel fango dentro le trincee, lo stato d’animo di quei ragazzini divenuti improvvisamente uomini con la baionetta in mano, con l’ordine di uccidere il nemico, ma con l’istinto di fuggire da quella cruda realtà per tornare alle loro famiglie, costretti in un ambiente surreale desolato, lontano dai morbidi fianchi verdi e caldi dei Monti Lepini, dai suoni e le voci familiari, mentre i cannoni tuonavano notte e giorno, disgregando ogni cosa: case, strade, piante, uomini dilaniati… feriti e tanti morti che don Cesare deve consolare o benedire per la sepoltura.
Dopo il Carso, i nostri soldati si spostarono sulle montagne, e tutto sembrò meno cruento, ma si aggiunse oltre agli austriaci, un altro nemico: il freddo.
Su quei monti maestosi, enormi, fantastici, ammantati di bianco (la fatica era la compagna assidua del soldato nella guerra di montagna…. le rocce si insanguinavano; nevica notte e giorno, per settiman, senza tregua, sulle montagne e nelle valli…) le strade ingombre di neve alta, vengono spalate dall’alba al tramonto, ma l’austriaco è lì: ogni tanto arriva una cannonata, si muore per le ferite, per il freddo e la stessa sorte tocca al mulo, unico amico lassù….
Ma gli eroi segnini si distinsero nel Col di Lana, e sei di loro persero la vita.
Questo colle ebbe molti appellativi: colle del sangue, colle della morte o colle delle lacrime, come lo chiamarono vedove, madri e orfani.
Per sorprendere il nemico la guerra si sposta sottoterra: fu scavata una lunga galleria utilizzando una grande mina che causò moltissimi morti.
Secondo le intenzioni del Comando italiano, la galleria che giungeva sotto le linee austriache doveva servire per il deposito di munizioni ed esplosivo.
L’idea era buona per le logiche di guerra, ma distruttiva per le vittime di entrambe le parti contendenti.
Le ultime battaglie che decretarono, prima la sconfitta, poi la riscossa italiana furono Caporetto e il Piave, entrambe drammatiche per i due schieramenti e don Cesare, che le ha vissute nella loro piena tragicità, racconta con dovizia di particolari i dieci giorni di aspro combattimento.
E’ un alternarsi di perdita di posizioni e riconquista, di delusione e coraggio, ovunque urlano le artiglierie, un uragano di bombe a mano, fucilate, colpi di cannone….
Furono novantamila, i soldati italiani tra morti e feriti.
E’ il 24.6.1918
“Dappertutto si incontrano gruppi di prigionieri: sono austriaci, tedeschi, ungheresi, usseri dalla faccia spaventata, con gli occhi stralunati… il Montello ora è un cimitero devastato… Troviamo batterie di bombarde e gli uomini morti davanti alle armi. Gloria agli eroi.
Hanno esaurito le munizioni e sono morti davanti al Falcè… verso il fiume, migliaia e migliaia di morti loro e nostri: identifico qualche segnino”
Tratto da “L’Edelweiss”, Il fiore delle Alpi, Il Fiore degli Eroi, pagg.89-102, di Piero Cascioli, Ed. Annales 2017
Altre informazioni su www.itinesegni.com
Curiosando 23
Tra i libri di storia troviamo struggenti passaggi e notazioni giunte fino a noi, per ricordarci il significato della guerra e le conseguenze delle reciproche incomprensioni. Ma L’Edelweiss, naturale testimone di quegli orrori, è ancora lì. A memoria perenne
Negli ospedali, gli avanzi gloriosi di cento battaglie, di lunghe e gloriose resistenze, dovevano ora invece, consunti dalle malattie, gustare goccia a goccia l’agonia e piegare la povera vita, recisi dalla morte……..Chiamavano il babbo, la mamma, la sposa, i figlioletti lontani….Li cercavano con gli occhi languidi e moribondi: se l’immaginavano presenti e con il loro nome sulle labbra esalavano l’ultimo respiro
Oggi li chiamiamo “corrispondenti di guerra” i giornalisti che raccontano i conflitti, che rischiano la vita per riferire gli accadimenti nei fronti di combattimento.
Noi segnini abbiamo avuto un corrispondente che, oltre a vivere e riportare le atrocità della guerra, ha assistito spiritualmente i soldati nella 1^ Guerra Mondiale.
E’ don Cesare Ionta, tenente cappellano militare, inviato al fronte del Carso nel 1916.
In un suo libro “Gli eroi segnini caduti nella grande guerra” descrive minuziosamente gli orrori della prima linea, i soldati immersi nel fango dentro le trincee, lo stato d’animo di quei ragazzini divenuti improvvisamente uomini con la baionetta in mano, con l’ordine di uccidere il nemico, ma con l’istinto di fuggire da quella cruda realtà per tornare alle loro famiglie, costretti in un ambiente surreale desolato, lontano dai morbidi fianchi verdi e caldi dei Monti Lepini, dai suoni e le voci familiari, mentre i cannoni tuonavano notte e giorno, disgregando ogni cosa: case, strade, piante, uomini dilaniati… feriti e tanti morti che don Cesare deve consolare o benedire per la sepoltura.
Dopo il Carso, i nostri soldati si spostarono sulle montagne, e tutto sembrò meno cruento, ma si aggiunse oltre agli austriaci, un altro nemico: il freddo.
Su quei monti maestosi, enormi, fantastici, ammantati di bianco (la fatica era la compagna assidua del soldato nella guerra di montagna…. le rocce si insanguinavano; nevica notte e giorno, per settiman, senza tregua, sulle montagne e nelle valli…) le strade ingombre di neve alta, vengono spalate dall’alba al tramonto, ma l’austriaco è lì: ogni tanto arriva una cannonata, si muore per le ferite, per il freddo e la stessa sorte tocca al mulo, unico amico lassù….
Ma gli eroi segnini si distinsero nel Col di Lana, e sei di loro persero la vita.
Questo colle ebbe molti appellativi: colle del sangue, colle della morte o colle delle lacrime, come lo chiamarono vedove, madri e orfani.
Per sorprendere il nemico la guerra si sposta sottoterra: fu scavata una lunga galleria utilizzando una grande mina che causò moltissimi morti.
Secondo le intenzioni del Comando italiano, la galleria che giungeva sotto le linee austriache doveva servire per il deposito di munizioni ed esplosivo.
L’idea era buona per le logiche di guerra, ma distruttiva per le vittime di entrambe le parti contendenti.
Le ultime battaglie che decretarono, prima la sconfitta, poi la riscossa italiana furono Caporetto e il Piave, entrambe drammatiche per i due schieramenti e don Cesare, che le ha vissute nella loro piena tragicità, racconta con dovizia di particolari i dieci giorni di aspro combattimento.
E’ un alternarsi di perdita di posizioni e riconquista, di delusione e coraggio, ovunque urlano le artiglierie, un uragano di bombe a mano, fucilate, colpi di cannone….
Furono novantamila, i soldati italiani tra morti e feriti.
E’ il 24.6.1918
“Dappertutto si incontrano gruppi di prigionieri: sono austriaci, tedeschi, ungheresi, usseri dalla faccia spaventata, con gli occhi stralunati… il Montello ora è un cimitero devastato… Troviamo batterie di bombarde e gli uomini morti davanti alle armi. Gloria agli eroi.
Hanno esaurito le munizioni e sono morti davanti al Falcè… verso il fiume, migliaia e migliaia di morti loro e nostri: identifico qualche segnino”
Tratto da “L’Edelweiss”, Il fiore delle Alpi, Il Fiore degli Eroi, pagg.89-102, di Piero Cascioli, Ed. Annales 2017
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