UN PERNOD S'IL VOUS PLAIT
.....................Si racconta che un giorno arriva in albergo un rappresentante di Commercio, di carattere spassoso e scherzoso e ordino un Pernod al ragazzo che stava al banco, imbarazzato, chiese cosa fosse. .. ......., da allora insieme al Pastis , questo liquore è stato sempre tenuto ha disposizione dei Clienti ........pagg. 149-152
...Abbiamo pensato che questo piccolo progetto editoriale, raccontando vicendeordinarie di vita quotidiana, potesse offrire un piccolo, modesto contributo alla promozione della cultura e del patrimonio storico e naturalistico della nostra terra.
*Adamo Daniele "UN PERNOD S'IL VOUS PLAIT" Storie ed immagini di una piccola impresa alberghiera la Pace di Segni, Antezza 2013
.....................Si racconta che un giorno arriva in albergo un rappresentante di Commercio, di carattere spassoso e scherzoso e ordino un Pernod al ragazzo che stava al banco, imbarazzato, chiese cosa fosse. .. ......., da allora insieme al Pastis , questo liquore è stato sempre tenuto ha disposizione dei Clienti ........pagg. 149-152
...Abbiamo pensato che questo piccolo progetto editoriale, raccontando vicendeordinarie di vita quotidiana, potesse offrire un piccolo, modesto contributo alla promozione della cultura e del patrimonio storico e naturalistico della nostra terra.
*Adamo Daniele "UN PERNOD S'IL VOUS PLAIT" Storie ed immagini di una piccola impresa alberghiera la Pace di Segni, Antezza 2013
I racconti del capanno Segni, prima pietra del distretto culturale dell’oralità Daniele Adamo A Gavignano, piccolo centro dell’estrema propaggine meridionale della provincia di Roma ai confini con la Ciociaria, Joseph Smyth (nato cinquantacinque anni fa a Londra, cresciuto nello Stato australiano del Nuovo Galles del Sud, oggi residente a Dublino, da dove erano partiti i suoi genitori, migranti irlandesi) per qualche mese all’anno tesse, compiaciuto, la sua trama. Una trama di persone, di biografie, di racconti. Joseph in Australia ha allevato cavalli, ha fatto il postino e l’avvocato, poi, in Lettonia, ha insegnato per un dollaro all’ora. Da molto tempo, tra una lezione e l’altra di inglese nelle scuole, nelle aziende e nelle famiglie (irlandesi e italiane) gira il mondo per “conoscere nuovi amici e imparare altre lingue”. Nella sua casa di Dublino ospita donne, uomini, ragazzi e bambini di ogni nazione, di ogni cultura, di ogni religione. La base in Italia, a Gavignano appunto, l’ha scelta da poco perché “è vicino a Roma, qui intorno vivono alcuni amici e le case costano poco, come prima succedeva in Irlanda e ora in Croazia o in altri Paesi dell’Est”. La sua autentica soddisfazione e’ vedere i suoi ospiti/amici che piano piano si conoscono tra loro, si scrivono, si frequentano. E lui quasi sempre resta al centro della trama, impegnato a curarla, a ingrandirla e a irrobustirne i fili. E a intrecciare storie. Ma non sempre le reti hanno un regista-filatore o corrispondono a un progetto. O meglio: non sempre si tratta di regie consapevoli, dirette da qualcuno, ne’ sempre gli eventi accadono in un tempo sincronico. E la citta’, la metropoli, non e’ il solo luogo eletto dell’innovazione, crogiuolo di culture, teatro di incontri, di scambi e di contaminazioni. La storia – ancora in evoluzione – dei “Racconti del capanno” ne e’ testimonianza. Quando nell’autunno del 2005, a Segni, antica cittadina laziale a un passo da Gavignano e dalla capitale, e’ nata l’idea di un laboratorio ove si potessero incontrare la (buona) scrittura e la narrazione orale locale, nella sperimentazione di un nuovo racconto – “occasione di liberta’ del sapere collettivo” – una citazione di Aurora Milillo [1] si impose nei nostri primi appunti di progetto, a mò di manifesto programmatico e di rudimentale cifra epistemologica. Si tratta di un efficace aforistico richiamo al contrasto tra l’egemonia culturale della storiografia ufficiale e il silenzio imposto, nella storia, alle classi subalterne. Un richiamo forse non del tutto coerente con lo spirito del laboratorio, ma di sicuro impatto, evocato dalle parole di un contadino lucano raccolte dalla studiosa in una sua famosa ricerca. Scomparsa qualche anno fa, Aurora Milillo e’ vissuta soprattutto a Roma, dove dal 1970 ha insegnato all’istituto di Storia delle tradizioni popolari della facolta’ di Lettere, ma era nata a Matera, vicino agli spettrali affascinanti calanchi argillosi descritti da Carlo Levi nel Cristo si e’ fermato a Eboli; non immune, dunque, per più ragioni, da quelle che sono state definite le “impreviste conseguenze” sul terreno antropologico ed etico dell’opera letteraria leviana. Aurora Milillo ha raccolto poi, insieme alle testimonianze dei contadini lucani, storie, favole e memorie in tutte le regioni italiane, diventando uno dei punti di riferimento dell’indagine antropologica. A Segni, mentre questo libro sta per andare in stampa, si sta preparando un evento dedicato proprio alla pittura, all’opera letteraria e all’azione politica di Carlo Levi. Qui l’autore del Cristo e’ stato di casa per qualche tempo, veniva spesso tra gli anni Sessanta e Settanta, seguiva le sue campagne elettorali (nel 1968 fu senatore in questo collegio) e tra i luoghi eletti frequentava soprattutto la barberia di Giulio, in via della Giudea. Un toponimo intrigante, ma non casuale, quello della strada che ospitava Giulio e la sua mitica barberia. Prima della fine del Cinquecento, come in diversi altri centri laziali, un’antichissima colonia giudaica abitava questa contrada. Poi il papato decise lo smembramento degli insediamenti (una cinquantina in tutto lo Stato pontificio) e confinò nei Ghetti di Roma e di Ancona i discendenti degli “uomini che avevano attraversato l’Eufrate”. Da queste “contrade” vengono, inequivocabilmente, alcuni tra i cognomi piu’ diffusi della comunità ebraica romana: i Di Segni (si chiama cosi’ anche l’attuale rabbino capo della capitale), i Di Veroli (dall’omonima cittadina ciociara), i Piperno (da Priverno, in provincia di Latina). Nella barberia di Giulio – vero e proprio luogo di socialita’, centro del vicolo-agora’ – l’ex azionista torinese ascoltava per ore e ore, dalle fonti orali, la storia e le storie di questa comunita’. Forse sorridendo, lui che di cognome faceva Levi come il terzo figlio di Giacobbe, di quella bizzarria della rossa Judea segnina, prodiga di voti e di racconti. Nelle case irregolari e letteralmente impilate (una sopra l’altra, una dentro l’altra) della vecchia Giudea, dove secondo alcuni autori [2] sorgeva una sinagoga, oggi abitano ancora i vecchi stefanari (gli abitanti del quartiere di Santo Stefano), ma anche tanti giovani albanesi, slavi, maghrebini, che ogni sera tornano da Roma, pendolari anch’essi come i numerosi piu’ fortunati ministeriali andreottiani [3]. Vi abitano anche stabilimentari [4] e colti architetti affascinati dal luogo, e poco distante anche un insegnante di origine lucana, nipote dell’attuale parroco di Aliano [5], moderno erede della parrocchia che fu di Don Traiella, l’arciprete inviso a luigini [6] e contadini, anch’egli di fatto confinato a Gagliano dalla gerarchia ecclesiastica, reso famoso forse piu’ dal film di Francesco Rosi che dal libro di Levi. Storie di vita che si intrecciano. Storia e storie che vivono e rivivono quotidianamente nei vicoli di questa piccola citta’ d’arte (9.000 abitanti) solo lambita dai maggiori circuiti turistici. Negli stessi vicoli in un lungo fine settimana d’autunno, Giorgio Falco, Tommaso Giartosio, Aldo Nove, Tommaso Ottonieri, Elena Stancanelli e Carola Susani hanno passeggiato, mangiato (nelle fraschette della quarantottesima sagra del marrone segnino), incontrato tanta gente. E qui, tra vecchi e giovani segnini, tra romani in gita fuori porta e decine di preti “argentini” dell’Istituto del Verbo Incarnato [7], tra migranti di diverse etnie, anziani narratori e giovani stornellatori, tra animatori culturali e cucinieri delle fraschette, giovani scatenati rapper e improbabili mangiafuoco, hanno ascoltato storie di streghe e di madonne, biografie, racconti di emigrazione, di lavoro agricolo e di fabbrica. E da queste narrazioni, e dall’aria respirata, sono nati i racconti raccolti in questo volume. In essi sono accennati, evocati, interpretati alcuni degli elementi dell’etnos di questa comunita’, nel suo sviluppo storico, nella sua interazione con l’intero comprensorio, nella recente mutualita’ con il confinante centro industriale di Colleferro. Poco distante dalla Giudea (qui eletto a quartiere simbolo di tutto il vasto centro storico) il suggestivo, maestoso percorso delle mura poligonali (VI e V sec. a.C.) e il vasto complesso architettonico dell’Acropoli (II secolo a.C.) testimoniano l’origine pre-romana della citta’, mentre la cattedrale e la struttura urbanistica delle strade limitrofe confermano l’intensa attivita’ edilizia medioevale, la rinascita della città dopo il sacco del 1557 e i frequenti soggiorni papali (tra il XII ed il XIV secolo). Nella Biblioteca comunale le copia degli Statuti segnini del XVI e del XVII secolo (in latino i primi, in volgare i secondi) ricordano la sofisticata vita istituzionale della comunità, nel corso della storia, mentre i numerosi atti notarili dettagliano l’importanza della risorsa castanicola, gia’ dal Medio Evo, per l’economia locale e ricostruiscono la recente diffusione, per innesto, nell’ultimo secolo, del marrone. Fiera delle sue radici, dunque, Segni domina – come scrivono libri di storia e guide turistiche – la Valle del Sacco, un tempo meglio conosciuta come “Alta Valle Latina”, importante via di collegamento tra la Citta’ eterna e le campagne del Sud, luogo privilegiato per scambi commerciali e culturali dall’Antichità a tutto il Medio Evo, oggi purtroppo nuova Seveso nell’immaginario collettivo, tristemente alla ribalta per un disastroso inquinamento ambientale che ha interessato l’omonimo fiume, il Sacco, e i terreni circostanti, obbligando a drastiche misure di profilassi e di prevenzione: l’abbattimento degli animali, lo smaltimento controllato del foraggio, il divieto di coltivazione per anni. Uno di noi per esempio/ ma anche che passa un guaio… che so/ ma storie non ce ne stanno/ mo’rene / mo’re la persona/ e’ morto tutto/ Invece le persona grandi/ cce so… le cristiane grusse/ le puteriste (coloro che possono, ndr) muoiono/ se fanno uccide/ o uccidono/ ma lasciano le storie/ perche’ possiedono di farsi fa’ la storia/ uno di noi no (…) e questa e’ la questione. (in Milillo Aurora, La vita e il suo racconto. Tra favola e memoria storica, Roma - Reggio Calabria, Casa del Libro Editrice, 1983) - (Cfr. Nello Pavoncello, Le comunita’ ebraiche laziali prima del bando di Pio V, in Lunario Romano, 1980 e Bruno Navarra, La storia di Segni II, 1998. - Anche Giulio Andreotti e’ nato a Segni e qui ha vissuto fino all’adolescenza. Nome con cui venivano indicati i primi operai delle fabbriche. Aliano e’ il piccolo Comune in provincia di Matera ove Carlo Levi passo’ buona parte del periodo del confino (nel 1935-36), chiamato Gagliano nel romanzo secondo l’espressione dialettale. Luigini, come li aveva ribattezzati Carlo Levi, dal nome del podesta’ dell’epoca, erano i modesti notabili di paese che vivevano alle spalle dei contadini. Congregazione religiosa fondata in Sud America nel 1984 da Padre Carlos Miguel Buela (ultima ad aver ottenuto l’approvazione, nel 2004, dalla gerarchia ecclesiastica) e che a Segni ha insediato la sua Casa madre e un Centro di Alti Studi. - Il 29 Gennaio 1938, alle ore 7.40 il grande terribile scoppio nel reparto polveri: 60 morti e circa 1500 feriti. “Benito Mussolini e Vittorio Emanuele III visitano Colleferro e i feriti ricoverati nell’ospedale di Anagni. La B.P.D. edifica il convitto per i figli dei caduti”. La Compagnia dei Lepini e’ una Societa’ consortile per azioni, promossa da 17 Comuni dei Monti Lepini, dalle Province di Roma e Latina, dalla Camera di Commercio di Latina, dall’Agenzia Sviluppo Lazio, dal BIC Lazio, dalla XIII e dalla XVIII Comunita’ Montana; un organismo che, attraverso la realizzazione dell’Accordo di programma S.T.I.Le (sviluppo turistico integrato dei Monti Lepini), opera per la crescita socio-economica nei Comuni di: Artena, Bassiano, Carpineto Romano, Cori, Gorga, Maenza, Montelanico, Norma, Priverno, Prossedi, Rocca Massima, Roccagorga, Roccasecca dei Volsci, Segni, Sezze, Sermoneta e Sonnino. Bermani Cesare, Introduzione alla storia orale, Odradek, Roma, 1999. Porcheddu Andrea (a cura di), L’invenzione delle memoria. Il Teatro di Ascanio Celestini, Il Principe Costante Edizioni, 2005. Milillo Aurora, Narrativa di tradizione orale. Studi e ricerche, Roma, Bulzoni, 1977, Straordinaria, ad esempio, e’ l’esperienza dell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, promossa da Saverio Tutino, ove “affluiscono da tutta Italia i documenti scritti della piccola storia, grazie anche alla istituzione di un premio che ha raggiunto una certa notorieta’”. Trigilia Carlo, Sviluppo locale – Un progetto per l’Italia, Editori Laterza, Bari-Roma, 2005 |
I racconti del Capanno
Antologia di racconti di Lanfranco Caminiti con: Giorgio Falco Tommaso Giartosio Aldo Nove Tommaso Ottonieri Elena Stancanelli CarolaSusani Sei scrittori in giro per tre giorni a Segni, un Comune della provincia di Roma, nell’area dei Monti Lepini, giù, verso il sud, in occasione di una sagra autunnale, quella del marrone, produzione tipica del posto. Un posto con una storia recente di prima industrializzazione selvaggia attorno a una fabbrica d’armi, ora convertita nella produzione di airbag per automobili, una valle di fiorente agricoltura oggi inquinata, un moloch del termovalorizzatore per il trattamento dei rifiuti a connotare il paesaggio, l’emigrazione verso il nord e l’estero negli anni Sessanta, il pendolarismo verso Roma e i suoi ministeri o dei nuovi immigrati slavi e maghrebini, l’artigianato che lentamente si estingue, la campagna che si sfalda e però resiste. Una storia costellata di bombardamenti, di scoppi, di lotte. Di tradizioni religiose e popolari. Un posto un po’ speciale, come un esperimento della “modernità”, un affastellarsi di contraddizioni, un posto come un altro d’Italia. Tre giorni a incontrare uomini, donne e cose con le loro storie di questi luoghi, e la loro lingua e il suo suono, così “diverso”, tutto suo. Per scriverne racconti. Un piccolo gruppo di “narratori locali” era stato invitato a far da guida e introduzione. I narratori del luogo erano spesso ospiti in fraschette, cantine ricavate in angoli suggestivi del paese, vecchi palazzi, antichi cortili, o di fortuna. Tutt’intorno si suonava, si cantava, si ballava, si mangiava e si beveva. Due narrazioni parallele, due modi e due tempi diversi di raccontare, inchiodati alle parole. Siamo partiti per questa avventurosa e faticosa sperimentazione – che abbiamo, dandoci una certa importanza, chiamato “laboratorio di oralità, narrazioni e letteratura” – con il convincimento che esiste una trama fatta di parole che “fanno” territorio e resistono all’usura del tempo Dalla Prefazione di Lanfranco Caminiti |