INNOCENZO III Storia e bibliografia Torna pagina 5 Papi
Innocenzo III Nato a Gavignano il 22 febbraio 1161, morì a Perugia 16 luglio 1216 Eletto Papa il 8 gennaio 1198 Per secoli si è scritto,e qualche reticenza affiora ancora, che Lotario dei Conti di Segni nacque ad Anagni. L’equivoco fu creato dallo storico anagnino Ambrosi De Magistris che credette d’identificare il padre Trasmondo in un Trasmundus de Zancate che nel 1201 compariva come rector civitatis anagniae. Ad ingannare De Magistris e anche il Sibilla sul luogo di nascita di Lotario, oltre alla non corretta identificazione del padre, concorse probabilmente il fatto che alla nascita del futuro Innocenzo III il castello di Gavignano non apparteneva alla famiglia, che ne acquisì la proprietà nel 1299, molto dopo la sua morte. A rilevare che il vero luogo di nascita fu Gavignano fu il Catalogus Pontificium Romanorum Viterbensis quando nel 1872 dette notizia certa che Innocentius Terzius campanus nacque nell’ex Castrum Gavinian (Gavignano). Esistono altri documenti che vengono citati nelle pubblicazioni in appoggio alla tesi gavignanese in diocesi di Segni e non di Anagni: vedasi “Innocenzo III e il suo tempo”(dell’autore), che si rifà a eminenti storici quali Don Cesare Ionta, Monsignor Bruno Navarra, e i docenti di Storia della Chiesa della Pontificia Università Lateranense Monsignor Michele Maccarrone e Monsignor Filippo Caraffa. Fatta chiarezza su questa secolare “svista”, è bene ricordare anche che per l’identificazione dell’anno di nascita di Lotario si è dovuto far ricorso al Gesta Innocentii Papae III, il quale, in occasione della sua elevazione alla porpora cardinalizia, cita con precisione vicesimun nonum aetatis annum agenis, informando che nel 1190, anno dell’incardinamento, il giovane aveva appena ventinove anni. Era nato quindi nel 1161. Si trova conferma della data in occasione della sua ascesa al Soglio Pontificio nel 1198. La stessa fonte,infatti, dice erat annorum triginta septem dando la certezza che aveva trentasette anni quando prese il nome di Innocenzo III. Messo un punto fermo all’annosa disputa tra Segni e Anagni, si può con maggiore serenità seguire il percorso di questo giovane rampollo dei Conti di Segni che marcherà con la sua personalità la storia medievale. Da giovane Lotario fu portato a Roma dalla madre Clarice Scotti, dove si svolgevano le attività del marito Trasmondo il quale,intelligente e attivo,godeva di un’ampia sfera di simpatia e di parentele tra l’aristocrazia capitolina. Così, come voleva il curriculum del tempo, Lotario fu avviato allo studio della grammatica e dei classici,affidandolo alle cure dell’abbate Pietro Ismaele del Monastero benedettino di Sant’Andrea. Il ragazzo dimostrò subito di possedere grandi doti. Era di media statura, aveva un aspetto e un carattere impetuoso e facile allo sdegno; i suoi grandi occhi neri esprimevano una insolita vivacità,alla quale si accompagnava un’eccezionale forza d’animo e d’azione, una singolare prontezza d’ingegno, una memoria di ferro e un dialogo che fece di lui uno dei maggiori oratori del Medioevo.Titolare di tutte queste qualità, si assoggettò senza eccessivi sforzi agli insegnamenti, maturando certezze per un grande avvenire. Quando Alessandro III (Rolando Bandinelli: 1159-1181) di ritorno da Benevento (dove era riparato per sfuggire all’ira del Barbarossa) si portò a Segni nell’ottobre del 1170, e da lì scrisse a Tommaso Becket arcivescovo di Canterbury (due mesi dopo assassinato nella sua cattedrale), Lotario aveva soltanto dieci anni. Il suo compito era quello di prepararsi ad una carriera che i genitori aspiravano brillante non solo per il rango del casato, ma anche perché obiettivamente vedevano nel figlio doti eccelse. E mentre lui cresceva, nel 1173 Alessandro III tornava a Segni per santificare nella chiesa di Santa Lucia, alla presenza di abbati e vescovi, il defunto arcivescovo inglese, istituendo nel contempo, in chiave anti imperiale, la festività di San Tommaso, campione della Chiesa di fronte al potere politico. Era la risposta del pontefice all’affronto della canonizzazione di Carlomagno. E questo fu il primo grande avvenimento che il giovane Lotario incise nella memoria, pur vivendolo con limitata consapevolezza. Egli era già abituato al rispetto dell’autorità papale, vivendo a contatto con prelati amici di famiglia e parenti materni. La sua formazione anche per questo progredì a grandi passi e a diciassette anni, per non essere limitato alle conoscenze dell’ambiente romano, venne avviato verso l’avventura europea, provvidenziale per la sua educazione. Lontano da Roma visse un periodo piuttosto impegnativo a Parigi e poi a Bologna. In Francia completò gli studi classici e l’apprendimento della teologia, in Emilia lo studio del diritto.Stando allo storico Filippo Belvedere, probabilmente aveva già iniziato la carriera ecclesiastica e gli veniva conferita la prebenda canonicale di San Pietro, come egli stesso ne avrebbe dato notizia nel 1198 concedendo privilegi ai canonici della basilica. Parigi era allora un caposaldo della fede cattolica la cui fama di centro di studi teologici la rendeva più importante dell’odierna ville lumière. Accoglieva ben ventimila giovani provenienti da tutta l’Europa in quella che divenne l’università che proprio lui, da papa, riconoscerà nel 1215. Una Parigi che prendeva l’assetto di capitale, con lavori in corso per la costruzione della nuova cinta muraria, Notre Dame e il Louvre. Lotario fu allievo di Pierre de Corbeil: questi gli trasmise l’amore per la Sacra Scrittura, e ben presto la sua conoscenza della Bibbia divenne vastissima. Approfondì anche le nozioni teologiche ed accettò volentieri la conoscenza di studenti provenienti da altre regioni continentali. Tanto che legò amicizia con gli inglesi Stefano Langton (nel 1206 divenne cardinale-prete del Titolo di San Grisogono) e Roberto di Curson (nel 1212 divenne cardinale di Santo Stefano al Celio a Roma), e con loro viaggiò in Francia e in Inghilterra. A Canterbury volle raccogliersi in preghiera in memoria di San Tommaso Becket, del quale ricordava la santificazione avvenuta a Segni. Nella dotta Bologna, assurta da tempo a fama europea con la sua celebre università, espressione massima del diritto romano giustiniano e canonico, si trovò a suo agio. La concezione evangelizzata di questa scuola del diritto, concepito come ordinamento del mondo cristiano, rispondeva ad un principio universale fortemente sentito dalla coscienza medievale. Ma si scontrava, nella nuova realtà storica,con l’affermazione degli ordinamenti comunali, soprattutto nell’Italia Settentrionale. In quella Bologna più cosmopolita di Parigi, Lotario ebbe come maestro Uggione di Pisa che gli insegnò la chiarezza e la precisione giuridica, trasmettendogli una notevole conoscenza del diritto canonico. Ne trasse un profondo senso della giustizia, altro punto fermo in difesa dei diritti della Chiesa, nella lotta per le investiture, contro le imposizioni imperiali. Nella goliardica città emiliana gli studenti non si facevano scrupolo di mettere in berlina chiunque con pungenti satire. Lotario non sfuggì alla tendenza giullare, così si vide affibbiare il soprannome di nuovo Salomone, derivato dall’ammirazione degli amici per i suoi calzanti giudizi. Non per questo si distrasse dagli impegni universitari, era troppo austero per lasciarsi andare a trasporti mondani. Si limitava ad osservare, impegnato ad allargare i suoi orizzonti, a respirare l’aria del mondo senza disinteressarsi dei movimenti religiosi e degli avvenimenti politici che costruivano nuove strutture temporali e spirituali nella società. I contrasti con l’imperatore creavano sconvolgimenti e la contrapposizione degli antipapi (tra questi il setino Lando con il nome di Innocenzo III); il terzo Concilio Laterano del 1178, ed altro, costrinsero, Lucio III (Ubaldo Allucingoli: 1181-1185) a rifugiarsi prima a Veroli poi nel 1183 a Segni, dove santificò Bruno Astense, che era stato vescovo della diocesi dal 1079 al 1123. Quando Lotario tornò a Roma era il 1187. Ordinato subdiacono sotto il brevissimo pontificato di Gregorio VIII (Alberto de Morra: 1187), venne subito preso al seguito di due cardinali e incaricato di trattare delicate questioni della Curia Romana. Aveva appena venticinque anni, ma era solerte, puntuale, rigidamente attaccato ai suoi impegni. Crebbe nelle conoscenze e strutturò le sue attività in funzione dei compiti che gli venivano affidati. Di lui si disse un gran bene perché si sentiva investito in maniera esemplare dai problemi e dalle necessità della Chiesa. Uno di questi problemi era la terza Crociata bandita da Gregorio VIII, confermata da Celestino III (Giacinto Bobone:1191-1197) per rispondere alla guerra santa proclamata dal Saladino. Ma c’erano, e non meno cruenti, le contese tra città-feudi-casati all’interno dello Stato Pontificio, quando Clemente III (Paolo Scolari:1187-1191), zio materno e suo protettore, lo nominò, non ancora trentenne, cardinale. Così il promettente figlio di Trasmondo dei Conti di Segni e di Clarice Scotti acquisì precocemente, e si potrebbe pensare per protezione papale, l’alto titolo che, invece, ottenne per meriti propri. Certo lo zio pontefice volse verso di lui una particolare attenzione, ma il suo sapere era tale e la sua carica nel lavoro così intensa che avrebbe comunque raggiunto quell’ ambìto traguardo. Correva, intanto, uno dei periodi storici più sconvolgenti per l’assetto politico e religioso della società europea. L’autorità della Chiesa era continuamente messa in discussione, afflitta, anche, dal persistere delle lotte interne. Il papato fu indotto ad istituire le Diaconìe per offrire l’assistenza ai bisognosi e, poiché queste facevano capo direttamente agli incardinati appartenenti al Sacro Collegio, il neo porporato venne investito della reggenza della Diaconìa del Titolo dei Santi Sergio e Bacco al Foro. Ebbe così modo di mettere in pratica la sua esperienza caritativa adoperandosi, con grande dedizione, al miglioramento delle condizioni umane dei derelitti. Fece di più, espletò una impegnativa operosità nella Curia Papale affrontando difficili questioni di carattere politico e religioso con varie nazioni, mettendo la sua competenza a disposizione del bene della Chiesa e dei delegati stranieri. La rapida carriera di Lotario stupisce,ma non fu il solo in famiglia a ricoprire cariche elevate: Landone, suo consanguigno, signore di Montelongo e connestabile delle milizie di guarnigione di Anagni, si illustrò in numerose imprese e favore del papa, contro Enrico VI. Lui, con le sue opere nella Diaconìa, fu invece a diretto contatto con la miseria e il dolore. Da qui nacque il bisogno di un approfondimento sulla condizione umana che mise in evidenza l’aspetto letterario (si direbbe un precursore di Dante) del porporato, che gli dette fama nei secoli. Le opere scritte nei suoi anni di cardinalato rappresentano infatti veri e propri trattati, sia il “De contemctu mundi sive de miseria conditionis humanae” che rappresenta uno dei momenti più insigni dell’ascetica medievale, sia il “De sacro altaris mysterio”, approfondimento del mistero eucaristico. Sono opere di dottrina scritte per lo studio della vita e degli uomini; riflettono le idee di San Pier Damiani, di Ugo di San Vittore e di San Bernardo,quindi estremamente concrete. Nel disprezzo del mondo e sulla miseria della condizione umana,s i pronunciò sui principali vizi umani, quali la cupidigia, i vizi della gola, la lussuria e l’ambizione. Evidenziò così il desolante quadro dell’esistenza terrena che a partire da una nascita abietta, assume poi uno stato sociale debole ed indifeso, sia per i giovani che per gli anziani, tanto se padroni e ricchi quanto se servi e poveri, tutti circoscritti da vizi e da colpe che portano alla morte. In tanto pessimismo, sostenne più compassionevole lo stato del servo, obbligato a sopportare,perché nessuno può farlo per lui, così avvinto alla sofferenza da non poter essere da altri condivisa. Ma misera, scrisse, è anche la condizione del signore perché deve guardarsi continuamente dalla iniquità dei vassalli e dal disprezzo della loro prepotenza. In sostanza, mentre il dolore colpisce il servo, il disprezzo affligge il mite, la crudeltà genera odio e la familiarità noncuranza. False interpretazioni delle preoccupazioni che assalirono il cardinale tra il 1191 e il 1197, trovatosi a ragionare sulla salvezza eterna e la brevità della vita, caratterizzarono l’opera come un desiderio di fuga dal mondo.In realtà fu un invito a conoscerlo meglio, partendo dagli aspetti negativi per giungere a conclusioni dignitose su un’ampia visione cristiana della esistenza terrena. Lotario fece evidentemente il moralista, dimostrando però di conoscere perfettamente la realtà. Aveva viaggiato in Europa quel tanto che gli permetteva di conoscere i costumi dei ricchi e le usanze dei poveri. Sapeva dei privilegi e della miseria, dei vizi e delle colpe degli uni e degli altri. La sua padronanza del diritto gli permise un giudizio giusto, pur se estremamente severo. Furono le sue inquietudini a guidarlo e le sue convinzioni a sostenerlo in una visione negativa della società. Una difesa contro il male per assecondare la vittoria del bene. Il secondo trattato “Misteriorum evangelicae legis et Sacramenti eucharistiae” si compone di sei volumi nei quali il cardinale dettò una sistemazione organica della liturgia ed in particolare dell’Ordinario della SS.Messa e della dottrina eucaristica. Fu un approfondimento e,nel contempo, un commento alle cerimonie liturgiche. A queste due importanti opere seguirono numerosi “Sermones”, frutto dei suoi studi. E qui si chiude il fecondo periodo nel quale amalgamò, ad un intenso lavoro politico e diplomatico, il raccoglimento dello studio e della meditazione religiosa. Le armate cristiane raggiungevano intanto la Palestina, ma la crociata non dette i suoi frutti. Nel 1197 Celestino III moriva aprendo la successione papale che si annunciò laboriosa e difficile per le diverse opinioni esistenti tra i cardinali elettori e per l’atteggiamento della Santa Sede verso l’impero. I cardinali si radunarono in Conclave l’8 gennaio 1198 nel Septizonio Severiano, alle falde del colle Palatino. Fin dalla prima votazione molti favori andarono a Lotario, ma non i due terzi prescritti dal III Concilio Lateranense del 1179. I Gesta citano altri tre candidati che si divisero i suffragi con voti esigui, mentre per Lotario plurimi. Anche se le perplessità non mancarono per la giovane età del papabile, trionfò la tesi che la Chiesa aveva bisogno di un Vicario di Cristo energico,capace di difendere la sua libertà. A questo scopo si fece ancor più strada e trionfò la sua candidatura che, tra l’altro, assicurava onestà di costumi e una grande preparazione culturale e spirituale. Fu così che venne prescelto alla successione di Celestino III, anche se quest’ultimo, non apprezzando molto i suoi servizi, lo aveva ignorato al punto da togliergli ogni illusione sulla stessa carriera ecclesiastica. Aveva trentasette anni quando prese il nome di Innocenzo III, un nome che restò nella storia e rappresentò l’apogeo del papato medievale. Per sigillo scelse il motto biblico desunto dal Salmo 85,17: Fac mecum, domine signium in bonum. Verrà coinvolto in tutti gli avvenimenti del suo tempo per l’indipendenza della Chiesa, rischiando di comprometterne l’autorità spirituale. Dall’Abbazia di Cluny – dove prese avvio la riforma benedettina - ai Trappisti e ai Cistercensi, per arrivare alla freschezza delle anime di San Francesco e San Domenico, alle Crociate, tutto entrò in contrasto continuo tra sete di potere dei potenti e influssi della volontà divina. Morì a Perugia nel 1216, predicando una nuova Crociata. Nella ricorrenza dell’810° anno dell’ascesa al soglio pontificio del Cardinal LOTARIO dei Conti di Segni di FRANCO CAPOROSSI FEBBRAIO 2008 - N°3 supplemento a Cronache Cittadine n°405 - Altre fonti: INNOCENZO III - ANNO 1198 - 1216 – Cronologia cronologia.leonardo.it/storia/aa1198a.htm http://cronologia.leonardo.it/storia/aa1198b.htm http://www.tuttitemi.altervista.org/Storia/StoriaMevo/Chiesa.htm |