PAESI CHE SI AFFACCIANO SULLA VALLE DEL SACCO Visti da Segni (Pianillo)
Acuto - Alatri - Anagni - Bellegra - Capranica Prenestina - Castel San Pietro - Cave - Colleferro Ferentino - Fiuggi - Frosinone - Fumone - Gavignano - Genazzano - Morolo - Palestrina - Paliano - Piglio - Rocca di S. Stefano -Rocca di Cave - S.Vito Romano - Serrone - Sgurgola - Torre Caietani
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Storia e
Territorio
San Vito Romano si estende sulle propaggini orientali dei Monti Prenestini, in posizione dominante sulla valle del Sacco. Nell’antichità l’area era abitata dalla popolazione italica degli Equi, il cui territorio arriva lungo la valle dell’Aniene, fino all’altezza di Varia (odierna Vicovaro). Non ci sono prove archeologiche che possano legare l’odierno abitato di San Vito alla antica città di Vitellia, menzionata da cenni storici antichi come Livio ( LIV. II. 39; V, 29), Plinio il Vecchio (Plin. Nat. Hist., III, 5, 69), Svetonio (SVETONIO, Vitell. 1, 2) e Stefano di Bisanzio (STEFANO DI BISANZIO, Ethnicorum quae supersunt, Berolini 1848, t, I, p.171 s.v. Bitella). Anche Svetonio parla della gens Vitellia, che legò la propria origine ad una colonia dello stesso nome, di cui i Vitelli avevano voluto assumersi, con le sole forze della propria gente, il compito della difesa contro gli Equi. Sempre Livio ricorda Vitellia come colonia romana espugnata dagli Equi e posta nel loro territorio in posizione dominante (Livio parla appunto di una fortezza espugnata dagli Equi con la connivenza di traditori). Possiamo quindi pensare ad un oppidum arroccato su uno sperone roccioso. L’identificazione di questa antica città, che doveva trovarsi nell’area, non è ancora certa: alcuni studiosi hanno proposto l’abitato di Bellegra che possiede anche un circuito murario in opera poligonale, ma la questione, in attesa di prove più puntuali, è ancora del tutto aperta. Nel VI sec. d.C. il territorio fu sotto la dominazione longobarda come ricordano alcuni toponimi chiamati “ La Corte”, da curtis termine longobardo per indicare il sistema abitativo tipico di età longobarda, insieme abitazione, costruzione rurale e centro fortificato. Nel IX sec d.C. il territorio fu distrutto dai Saraceni che invasero le coste e l’entroterra laziale sino al territorio sublacense. Gli scampati alle scorrerie si rifugiarono sul monte dove oggi sorge San Vito, sfruttando come rifugio le cavità naturali presenti nell’area. Qui con l’aiuto dei monaci benedettini, gli abitanti ricostruirono il centro abitato che ruotava intorno ad una fortezza che si erigeva sulla sommità della rupe: il nome di Castrum Sancti Viti compare in un documento della curia prenestina e si deve probabilmente alla scelta operata dai monaci benedettini. San Vito fu feudo dei monaci benedettini fino all’anno 1180 quando subentrarono i Colonna, i quali impegnati in altre lotte con il papato, munirono il castello di nuove opere di fortificazione circondandolo con una strada detta “La Difesa”, con funzioni di guardia, lungo la quale circolavano sentinelle armate. Sono conservate due porte relative a questo periodo: “Porta dell’Ospedale” e “Porta del Ponte”, per il ponte levatoio che permetteva l’attraversamento del canalone dei “Cavoni” e l’ingresso al paese. Le porte sono realizzate con archi a sesto acuto, costituiti da blocchi con legante di calce bianca. L’altra porta di San Vito detta “Porta Borgo” si trova a pochi metri da via delle Logge, la zona più elevata del paese sino alla costruzione del Borgo Mario Theodoli nel 1649 di cui si parlerà in seguito. La via chiusa su un lato delle case adiacenti il Castello Theodoli, presenta sul lato opposto degli archi panoramici dai quali è possibile vedere una parte del centro storico e il territorio limitrofo. Dalla via si accede alla piazza della chiesa di Santa Maria de Arce dove si trova l’ingresso principale del Castello Theodoli. Il borgo che si costruì intorno al castello risale al XIV sec.. Roma, Genazzano e San Vito si contendono i natali ad Oddone Colonna divenuto papa con il nome di Martino V. In tutta l’area prenestina, dopo l’elezione al soglio pontificio di Martino V, crebbe notevolmente la devozione nei confronti di San Martino che si materializzava attraverso l’erezione di molte edicole: una di esse la “Cona di San Martino” è ancora visibile in San Vito. I Colonna rimasero feudatari del paese sino al 1565, quando Marcantonio Colonna gravato dai debiti, fu costretto a vendere. San Vito fu acqustata dalla famiglia Massimo che dopo appena dieci anni, nel 1575, vendettero a loro volta ai Theodoli che la pagarono 20.000 scudi romani. Da sottolineare in San Vito l’attività di vari architetti che nel corso dei secoli arricchirono il paese con alcuni edifici che rappresentano dei veri e propri preziosismi architettonici. Il volto “moderno” di San Vito si deve all’attività dei marchesi di San Vito XVII e XVIII sec.. A Giovanni Theodoli, fratello di Teodolo, primo marchese di San Vito e Pisciano e conte di Ciciliano si deve la progettazione della chiesa di San Biagio ( 1607 – 1609). Questa fu costruita su di un precedente oratorio duecentesco ed era a navata unica con altari laterali entro le nicchie. In quegli stessi anni venne dipinto sull’altare maggiore l’affresco raffigurante il santo, mentre il campanile risalente al 1715 termina con una piccola cupola rotonda: contiene tre campane la più antica delle quali risale agli inizi del settecento. Nel 1830 un restauro aggiunse alla chiesa due cappelle all’altezza del presbiterio, in modo da creare una sorta di transetto; tra il 1927 e il 1929 viene eseguito un altro restauro di cui sono testimonianza due iscrizioni, una sulla parete della cappella sinistra, l’altra sul pavimento. Ai figli di Giovanni, Alfonso e Mario Theodoli, si deve sostanzialmente l’impianto urbanistico di San Vito: promossero la sistemazione nel 1646 della piazza San Biagio sulla quale affacciava l’antica sede Comunale, ma soprattutto Mario Theodoli fu l’artefice della progettazione, realizzazione e apertura del cosiddetto “Borgo Mario” nel 1649: questo sorse su di una platea artificiale, creata al di sopra della parte più antica del paese ed ottenuta livellando il piano roccioso e riempiendo gli avvallamenti e le fosse. Un lavoro enorme, al termine del quale venne aperta una lunga ed ampia strada fiancheggiata, poi, da costruzioni come in convento dei Carmelitani, oggi Palazzo Comunale, e dall’annessa chiesa dei SS. Sebastiano e Rocco i cui progettisti però non sono noti. Quest’ultima chiesa presenta due fasi consecutive: la più antica databile alla metà del seicento, epoca di fondazione dell’edificio, l’altra realizzata nei primi decenni dell’ottocento. La struttura originaria con pianta ottagonale, decorata con stucchi e dipinti costituisce una preziosa testimonianza del barocco non solo in San Vito, ma in tutto il territorio circostante. La fase ottocentesca, dopo le demolizioni dell’antica abside e dell’altare maggiore, originariamente collocato in asse con l’ingresso, presenta invece un vano rettangolare e una zona presbiteriane nuovi. La complessa decorazione del soffitto comprende, oltre un riquadro circolare con la raffigurazione della gloria di San Sebastiano, collocata al centro del grande soffitto dell’aula ottagonale e sorretto da sei angeli, una serie di otto riquadri con i ritratti di Santi dell’ordine Carmelitano. Fu architetto anche il figlio Alfonso, Carlo Theodoli “accademico d’onore” di San Luca, il quale fu artefice dell’ampliamento e sistemazione del Castello: a lui si deve infatti la particolare forma a nave evidenziata dal rivestimento con muro a scarpa che lo circonda, la decorazione ad affresco di alcune sale. La parte nuova del palazzo fu arricchita con una raccolta di quadri d’autore e le sale del pianterreno vennero affrescate. Oggi il palazzo e proprietà privata. Un cenno merita anche la figura di Girolamo Theodoli, figlio di Carlo, per evidenziare ulteriormente la dedizione di questa famiglia “all’arte dell’edificazione”; infatti questi oltre ad essere “accademico di merito” dell’Accademia di San Luca, legò il suo nome ad alcune grandi realizzazioni in Roma e fuori Roma, incidendo significativamente sul volto della città settecentesca: nel 1731 costruisce il teatro Argentina, nel 1750 progetta la chiesa dei SS. Pietro e Marcellino in via Merulano; nel 1758 progetta il campanile di Santa Maria in Montesano; si occupa del restauro dell’Arco di Costantino, della Colonna Antoniana, delle Mura Aureliane. Fuori Roma si legano al suo nome il complesso della chiesa di San Pietro in Vicovaro ed il ponte di Arci che si oltrepassa arrivando a Tivoli. Nel suo feudo di Ciciliano edificò la chiesa di Santa Maria della Palla, mentre in San Vito nel 1715 realizza il campanile, nella barocca chiesa di San Biagio; nel 1735 la chiesa di San Vito e la facciata di Santa Maria. Quest’ultima fu edificata probabilmente intorno al 1400 con pianta unica, ed utilizzata dalla guarnigione di stanza al castello. Proprio per la sua posizione accanto alla rocca, fu detta “Arce”. L’edificio, secondo il progetto eseguito dall’architetto Landoni e dall’ingegnere Emilio Trinchieri, venne restaurato e modificato in età moderna: fra il 1861 ed il 1903 vengono aggiunte le due navate laterali, rialzata quella centrale, dopo aver abbassato il pavimento, e coperta con una volta di mattoni in foglia; nella navata centrale è costituita una notevole opera raffigurante l’Assunta attribuita al Maratta o alla sua scuola. Ancora intorno al 1916 Don Guerino Nini, sacerdote sanvitese tentava con l’aiuto dell’architetto Carlo Busiri Vici, una soluzione ai problemi di spazio e di decoro della chiesa di Santa Maria: venne spostato il campanile, decorata la sacrestia e posti i marmi pregiati che ancora oggi si vedono. Ancora una volta un importante architetto, che aveva realizzato, tra le altre cose, la chiesa di San Giuseppe sulla via Nomentana (1905), il Palace Hotel di via Veneto, oggi consolato degli Stati Uniti (1900), il salone Margherita, lega il suo nome e la sua presenza a San Vito. La settecentesca chiesa di San Vito, rappresenta la principale chiesa del paese: posta su un’altura, venne eretta sul luogo di una precedente cappella nel 1725. Risale a questo periodo la struttura, la decorazione dell’altare, la parte centrale del soffitto, con la tela ottagona della Gloria del Santo e la tela posta sull’altare di San Lorenzo. Risalgono invece all’800 le altre decorazioni del soffitto, i dipinti dei due medaglioni laterali, le tele poste sugli altari; mentre i dipinti delle parti delle cappelle e le due grandi tele poste alla fine della navata risalgono all’ultimo intervento, operato nella chiesa intorno al 1945. E’ priva di campanile e l’unica campane presente e contenuta in una sopraelevazione del tetto a forma di piramide. Le reliquie del Santo, il giovinetto Vito martirizzato sotto il regno dell’Imperatore Diocleziano sono conservate nella chiesa di San Biagio che le custodiva anteriormente alla edificazione della chiesa dedicata poi a San Vito. Da segnalare poco fuori dal paese la presenza della chiesa della Madonna di Compigliano ubicata in modo da dominare l’abitato. La chiesa che risale in una sua prima fase al XVI secolo, fu ultimata agli inizi del seicento e considerata santuario in seguito ad un evento miracoloso che vi sarebbe avvenuto: l’apparizione della Vergine, avvenuta tra i rami di un ciliegio, che restituì la parola ad un pastorello muto. L’immagine venerata è dipinta su di una tavola in legno di ciliegio, restaurata nel 1948 e la sua “incoronazione” decretata dal Capitolo Vaticano nello stesso anno. Una serie di ville e dimore patronale completano il panorama del patrimonio architettonico di San Vito: Villa Castellini con l’annesso parco ornato con statue e fontane, il villino Ivella, il villino Pacini, posto nei pressi del santuario della Madonna di Compigliano il quale fu scelto dal generale Kesserling come base per le operazioni belliche durante la seconda guerra mondiale; alcune ville legate al nome dei Baccelli, una famiglia stabilitasi a San Vito dal 1655 con Matteo che fu segretario del marchese Carlo Theodoli. La famiglia annovera tra i suoi discendenti alcuni valenti medici, in particolare Guido Baccelli il quale scoprì un efficace antidoto (la mistura Baccelli) contro la malaria, che gli valse riconoscimenti anche all’estero e fu il primo ad introdurre la pratica delle iniezioni endovenose. San Vito possiede, data anche la sua ubicazione, un patrimonio ambientale di rilievo: la Macchiarella è un castagneto secolare di proprietà Comunale, collegato tramite uno stradone alla villa Comunale, luogo quest’ultimo attrezzato come parco giochi. Il castagneto, che richiama molte persone per la raccolta di castagne e funghi, è un bene attrezzato e curato dalla protezione civile di San Vito, con staccionate per la delimitazione di sentieri interni, con tavoli e panchine che consentono di trascorrere piacevoli momenti. Un altro sentiero, percorribile in quindici minuti è quello che conduce dalla chiesa della “Madonna di Compigliano” alla “Conetta di San Martino”. Al termine di questo sentiero si giunge alla Cona di San Martino, di cui si è già parlato, che costituiva un riparo per i contadini che vi sostavano dopo una intera giornata di lavoro nei campi. Il luogo è una sorta di belvedere, ancora oggi meta di passeggiate; da qui la vista spazia da una parte verso i monti prenestini con i paesi di Olevano, Bellegra e Genazzano, dall’altra verso la vallata del Sacco. |